La danza nella scuola pubblica italiana: il Liceo Femminile fascista

I. TRASMISSIONE

La danza nella scuola pubblica italiana: il Liceo Femminile fascista

di Nadia Scafidi

 

   

 

 

Premessa

La presente ricerca costituisce lo sviluppo più recente di un filone di studi che io stessa ho inaugurato circa dieci anni fa e cioè quello di delineare l’importanza non solo artistica ma anche educativa della danza attraverso l’analisi della legislazione scolastica relativa a quei settori della Pubblica Istruzione nei quali tale studio è stato impartito senza finalità professionali: nell’Ottocento gli Educandati , nel Novecento i Licei Femminili appunto. 
Inoltre, poiché si tratta di ricerche che mirano a rintracciare la documentazione di supporto negli archivi scolastici (verbali d’esami, pagelle, programmazioni), e questo richiede spesso un ulteriore passaggio preliminare, quello cioè di individuazione degli stessi archivi, che risultano di frequente o privi di catalogazione o conservati in luoghi impropri, anche il presente studio non è sfuggito a tali difficoltà. 
Pertanto in questa sede ne esporrò le linee essenziali, essendo alcuni approfondimenti in corso d’opera. 

Il Liceo Femminile costituì la versione statale di quegli Educandati femminili, di origine religiosa, che sin dal ‘600 in molti stati europei, in Italia a partire dal ‘700, detenevano il monopolio dell’educazione delle signorine di agiata famiglia, sì da istruirle in conformità con il ruolo loro riservato: quello cioè di preziosi quanto inutili ornamenti dei salotti dell’alta società. Ed in effetti “ornamentale” può definirsi l’educazione loro impartita, che consisteva in una infarinatura di nozioni umanistiche completata con la pratica degli immancabili lavori donneschi (ricamo e cucito) e, soprattutto, arricchita con lo studio delle cosiddette arts d’agrément, le materie d’ornamento per eccellenza, tipicamente elitarie e perciò segno distintivo di tale educazione, quali: musica, canto e danza.
Alla fine dell’800, nel quadro di un più generale processo di laicizzazione della società europea che aveva proprio nella Pubblica Istruzione uno dei suoi capisaldi, anche l’educazione delle signorine diventò un “affare di Stato”: bisognava cioè creare delle istituzioni scolastiche statali, concorrenziali ma di pari pregio rispetto agli Educandati religiosi, in modo da fornire alle fanciulle di estrazione borghese una cultura laica seppur priva di fini professionali. 
A tale scopo furono perciò istituiti i Licei Femminili: dapprima in Francia con la legge Sée del 1880; quindi in Germania, dove vennero create le Hoehere Maedchenschule (scuole superiori per ragazze); infine, nell’impero austro-ungarico con le leggi scolastiche del 1910 e del 1912. 
In Italia lo stato liberale aveva più volte tentato di istituire degli analoghi licei. Risale infatti al 1879 il relativo progetto di legge dell’allora ministro della Pubblica Istruzione Michele Coppino, ma sia questo progetto, sia quelli successivi presentati da vari deputati sino alla vigilia della prima guerra mondiale, non giunsero mai alla discussione parlamentare. 
Fu così che solo nel maggio 1923, in virtù dei pieni poteri concessi per un anno al governo Mussolini , l’allora ministro della P.I. Giovanni Gentile nel varare la sua riforma scolastica, in particolare con il Regio Decreto n. 1054 del 6 maggio 1923 con il quale riorganizzava l’istruzione media, istituì il Liceo Femminile. 
Di durata triennale, era un istituto medio di secondo grado, presupponente cioè la frequenza di un corso inferiore quadriennale: pertanto esso si rivolgeva a fanciulle dagli 11 ai 14 anni di età. 
Dei venti Regi Licei Femminili previsti dalla legge, risultano di fatto aver funzionato solo cinque, quelli di Torino, Milano, Trieste, Macerata e Siena. Tranne quello di Trieste, derivato dalla conversione secondo i nuovi termini legislativi dell’omonima istituzione austro-ungarica, gli altri vennero per lo più attivati a partire dall’anno scolastico 1923-24 come sezione specifica all’interno di Licei Scientifici preesistenti, sebbene il Liceo Femminile non fosse un vero e proprio liceo ma, come già osservato, una scuola media.
In effetti, al termine dei tre anni non si sosteneva un esame di stato, come per i Licei Scientifici (e Classici) ma, attraverso esami puramente formali, si conseguiva una licenza inutilizzabile a livello professionale, che non permetteva l’accesso neanche all’Università. 
D’altra parte il Liceo Femminile ghettizzava l’istruzione delle fanciulle ancora di più degli Educandati, poiché rifletteva l’immagine che Gentile e la cultura fascista in generale avevano della donna: ella non solo aveva capacità inferiori all’uomo ma, comunque, ottuse capacità . 
Emblematico risulta a questo proposito il piano di studi messo a punto per tali licei: “epurato” da ogni studio scientifico, esso risulta superficiale e molto sommario rispetto a quello dei coevi Educandati governativi, che, non a caso, era stato equiparato a quello degli istituti magistrali. 
Nei Licei Femminili infatti si studiavano italiano e latino, elementi di filosofia, diritto ed economia, inglese o tedesco, lavori femminili ed economia domestica, musica, canto e danza, per un totale di 26 ore settimanali che diventavano 34 con gli insegnamenti facoltativi (francese, storia dell’arte, uno strumento musicale). Risultavano assenti gli insegnamenti di storia e geografia, matematica e fisica, scienze, materie che, invece, erano previste negli Educandati governativi dove, fra studi obbligatori e facoltativi, il calendario settimanale ammontava a ben 40 ore. 
La donna fascista, insomma, poteva soltanto essere educata - come affermò il ministro Fedele, subentrato nel 1925 a Gentile al Ministero detto da allora e sino alla caduta del regime dell’Educazione Nazionale - “ad una più profonda conoscenza delle arti decorative considerata la funzione che ella assume nell’ordinamento estetico della casa”. 
Fondamentale per questo obiettivo non poteva che essere la danza, e in effetti nel curricolo dei Licei Femminili essa risulta contemplata quale materia artistica obbligatoria. 
Nell’arco dei tre anni la danza si studiava due volte a settimana, in lezioni di un’ora ciascuna, in accorpamento alla musica e al canto. Tale accorpamento era dettato dalle finalità didattiche che si attribuivano allora alla scuola media, considerata - come osservava Ferruccio Boffi nel suo commento alla Scuola media fascista - non di specializzazione, ma di cultura generale, in cui “le materie si integrino e si fondano in unica armonia”. 
Le materie venivano così accorpate secondo affinità nei cosiddetti “gruppi disciplinari”, come appunto - tornando ai Licei Femminili - quello dato dall’insieme degli studi artistici obbligatori: danza musica e canto. 
Per quanto riguarda in particolare lo studio della danza, credo sia anzitutto necessario tracciarne un breve excursus partendo da quei contesti scolastici non professionalizzanti in cui essa veniva già impartita, ossia negli Educandati governativi, al fine di evidenziare le affinità e le novità di intenti di tale insegnamento nei licei gentiliani.
Come avevo già rilevato, la danza era diventata curriculare - per la prima volta nella storia della scuola pubblica italiana - negli Educandati femminili sin dalle loro origini perché connessa con l’apprendimento di norme comportamentali e di portamento peculiari e, allo stesso tempo, esclusive dell’élite per le quali le si era riconosciuta quella indispensabile valenza educativa, che l’aveva resa oggetto di studi obbligatori. 
Nell’arco dell’800, parallelamente all’evolversi delle tecniche ginniche, tale disciplina acquisisce un’inedita valenza igienica, ritenuta efficace soprattutto per le fanciulle come sostenevano unanimamente pedagoghi, medici e, in particolare, quei fautori di una ginnastica femminile con la quale, lungi dal mascolinizzare i muscoli, si potesse tonificare il corpo in modo armonico e aggraziato. A tale scopo alcuni di essi, come ad esempio la svizzera M.me Clias - fondatrice della Callistenia (1848) - , avevano strutturato degli esercizi per i quali si faceva ampio ricorso alle movenze di danza e, aspetto non secondario, alla musica e ai canti corali per consolidare il senso armonico del movimento. In effetti, a partire dagli Ottanta del XIX secolo, la ginnastica callistenica viene introdotta negli Educandati governativi quale completamento necessario della danza, rafforzandone così l’utilità curriculare .
Pertanto la riforma Gentile, inserendo la danza fra le materie obbligatorie del Liceo Femminile, aveva semplicemente applicato ad un contesto laico e statale una tradizione scolastica femminile ed elitaria che, per qualificarsi in quanto tale, necessitava dunque della danza.
Ma, a differenza degli Educandati, nei quali questo studio, al di là delle sue finalità igienico-educative, mirava sostanzialmente ad istruire le signorine nei balli di sala (per un adeguato “debutto in società”), ben altri ne erano gli obiettivi didattici all’interno del curriculo gentiliano. 
O meglio, a quelli tradizionali se ne aggiunse uno nuovo, squisitamente politico, poiché dettato dalle istanze fascistizzanti cui il costituendo regime stava allora conformando tutte le istituzioni del paese e la scuola pubblica in particolare (vedi nota 2).
Ciò è comprovato dal fatto che, alla stregua degli altri programmi di studio, anche quello di danza - che negli Educandati era piuttosto messo a punto dal singolo insegnante - venne fissato dallo stesso Ministero.
Infatti, a questo proposito, le disposizioni ministeriali stabilivano: «La prova di esame non riguarderà propriamente le danze, ma brevi nozioni storiche intorno alla danza, alcune prove pratiche di Ginnastica Ritmica, tanto individuali quanto collettive, che devono particolarmente inspirarsi a quelle ideate da J. Dalcroze» . 
La preferenza accordata alla ginnastica ritmica dalcroziana rispondeva non solo alla valenza educativa che si attribuiva a questa tecnica - per la quale si rinvia alla vasta bibliografia su Dalcroze e la sua scuola di Hellerau - , ma anche, come già accennato, ad un preciso obiettivo politico: quello cioè di coinvolgere nella celebrazione del “culto della nazione”, momento cardine - come è noto - della liturgia totalitaria, la “massa”, in quanto essa stessa “nazione”, obiettivo per il quale essadoveva dunque essere educata e plasmata attraverso una disciplina che contribuisse alla totale identificazione del singolo nella collettività o, meglio, alla sua “nazionalizzazione” .
In tal senso la ritmica dalcroziana sembrava essere lo strumento educativo più efficace perché, come rilevava fra gli altri la pedagoga M. Rosaria Berardi - tra le più strenue sostenitrici del suo inserimento obbligatorio nelle scuole elementari d’ambo i sessi e medie femminili - tale disciplina era ritenuta “[…] conforme alla …attuale e italiana concezione educativa”. Essa, si sosteneva, “fa sentire la potenza della personalità in relazione e in libera soggezione agli interessi e agli ideali collettivi della nazione”, in quanto, nel “disciplinare in composta armonia” “la flessuosa creatività” del danzare, si ispira all’arte greca, matrice dell’italica latinità, instillando così nei giovani italiani, ma soprattutto nelle fanciulle, il senso di appartenenza alla tradizione ed alla cultura nazionale . 

Rinviando ai molteplici studi già svolti sull’argomento , con la presente ricerca ho mirato essenzialmente a definire le modalità di studio e di insegnamento della danza ritmica nei Licei Femminili i quali, al di là di ogni intento politico e programmatico, furono poi in concreto le uniche scuole pubbliche nel quadro del M.E.N. (Ministero dell’Educazione Nazionale), dove essa venne inserita a livello curriculare.
Per quanto riguarda i programmi di studio, è interessante notare come le suddette disposizioni ministeriali prevedessero, accanto allo studio tecnico della danza ritmica, anche l’insegnamento di alcune nozioni di storia della danza, intendendo per essa brevi notizie che venivano desunte, in parte, dalla storia della musica - come fanno fede i manuali di musica adottati allora nelle scuole - ma, soprattutto, dalla storia dell’arte. D’altra parte la linearità dell’arte classica costituiva il modello di riferimento della danza ritmica non solo per i succitati motivi educativi, ma anche perché - come è noto - ottemperava all’esigenza di essenzialità dell’estetica fascista, e perciò era considerata emblema di quella modernità di cui il regime voleva essere incarnazione . 
Pertanto, anche da questo punto di vista, la ritmica rispondeva alle istanze del governo. Grazie ad essa nel campo della danza era stato possibile ritrovare “[…] l’antico e onorevole concetto del gesto e del movimento umano, quando si vuole reagire alla grettezza e al tedio di una coreografia istrionica e vuota, basata sull’artificio e sull’acrobatismo, dopo gli intermezzi del minuetto e della quadriglia. La teatralità orpellata deve cedere ad un senso nuovo e antico di vita: giovane ed eterno, che si rinnovella nella gioia di vivere, dando libertà e naturalezza al corpo” .
Per quanto riguarda i contenuti tecnici, sebbene - come ho già rilevato - allo stato attuale delle ricerche manchi una compiuta analisi della documentazione scolastica (registri, verbali, ecc.) che permetterebbe di delinearli, ne sono state comunque individuate le finalità didattiche dall’analisi delle motivazioni che il ministro Fedele addusse nel modificare i programmi gentiliani delle scuole medie: la danza doveva conferire alla gestualità delle signorine eleganza e raffinatezza plastica al fine di educarle (sensibilizzarle) “al gusto delle cose belle, alte, gentili” .
Si trattava, in altri termini, di un’educazione di maniera piuttosto simile a quella impartita negli Educandati ottocenteschi, ma che si pensava di aver attualizzato con il ricorso a discipline “moderne”, quale era appunto la danza ritmica. Tuttavia, priva di sbocchi professionali, essa si rivelò anacronistica anche per le signorine della buona società, che preferirono iscriversi alle scuole magistrali (e agli equiparati Educandati). 
In effetti tali scuole ebbero scarsissimo successo: dopo circa cinque anni dalla loro istituzione, nel 1928 i Licei Femminili verranno soppressi per carenza di iscrizioni e addirittura alcuni di essi, quali quelli previsti a Venezia Verona Padova e Cagliari, non furono mai attivati per totale assenza di iscrizioni.
Restò comunque determinante l’esperienza offerta nel campo dell’insegnamento curriculare della ginnastica ritmica: nell’arco degli anni Trenta ne scaturirà infatti la certezza che fosse necessario non solo introdurre tale disciplina nel curriculo delle scuole medie femminili (come in effetti si verificherà nel 1941), ma anche formare adeguatamente il relativo personale docente.
Pertanto, prima di giungere alle conclusione, ritengo opportuno fare alcune osservazioni sulla figura dell’insegnante di danza impiegato in questi licei. 
Il primo dato interessante che emerge riguarda il ruolo loro attribuito all’interno degli organici scolastici, quello cioè di incaricati dal Preside. Infatti, come stabiliva la “Circolare” n. 75/1923 del Ministero Pubblica Istruzione, in assenza di uno specifico “titolo legale di abilitazione” all’insegnamento della danza come delle materie artistiche accorpate (musica e canto) e, quindi, di graduatorie pubbliche cui attingere, spettava al capo d’istituto individuare il candidato più idoneo attraverso la costituzione di una graduatoria interna che lo stesso preside doveva compilare. A tal fine, in luogo del titolo abilitante, venivano presi in esame i cosiddetti “titoli vari”, cioè i titoli che attestavano “doti morali ed educative, gli uffici occupati e le opere prestate attinenti alle funzioni scolastiche ed educative […] i risultati dei concorsi per soli titoli e le pubblicazioni” . 
La nomina doveva essere conferita entro il 15 ottobre per un compenso annuo - considerati però solo i mesi di lezioni ed esami - di lire 200.
Dall’analisi degli “Annuari” del Ministero Pubblica Istruzione del 1923/1928, nei quali sono riportati ruoli e relativi titolari dei vari Licei Femminili, è risultato che, di norma, l’incarico per gli insegnamenti artistici (danza, musica e canto) era affidato ad un unico docente; solo in un caso, al Liceo Pitteri di Trieste, l’insegnamento della danza non è accorpato agli altri e la docente (Tilly Proschko) detiene l’incarico fino alla soppressione dell’istituto.
Viceversa, si nota un continuo avvicendamento, forse dettato dalla mancanza di una specifica preparazione professionale, cui si sopperiva ricorrendo ad altre professionalità. Emblematico il caso del Liceo Femminile di Torino dove l’incarico è affidato inizialmente a Luigi Ferraria, conoscitore e fautore della ritmica dalcroziana; quindi ad un maestro di musica, specificamente a quel Magrini autore di un citato manuale di musica e, infine, addirittura ad un “cavaliere” (certo Giovanni Piovano).

Fu pertanto negli anni Trenta che, come ho osservato, si provvide a creare specifici canali di studio per la formazione degli insegnanti di danza ritmica. Non a caso è proprio in questo decennio che ne viene introdotto l’insegnamento nei curricula degli Istituti Superiori di formazione artistica, sia in quelli già esistenti, e cioè l’Accademia di Brera nel 1932 (fino al 1939) e l’Accademia d’Arte Drammatica di Roma dal 1939, sia in quelli istituiti contestualmente, e cioè l’Accademia di Educazione Fisica Femminile di Orvieto (1932-1943) e, soprattutto, la Regia Scuola di Danza di Roma (1940). L’orchestica di Jia Ruskaja, fondatrice di quest’ultima, comprendeva alcuni esercizi di ritmica dalcroziana . 
Al legame tra l’istituzione della Regia Scuola di Danza e la politica scolastica del regime dedicherò un mio prossimo studio, mentre concludo con un’ultima osservazione sui Licei Femminili.
Proprio perché sconnessi da finalità professionali e perciò possibile oggetto di percorsi didattici inediti, essi permisero l’attuazione di due principi didattici ancora estremamente attuali, e cioè il principio dell’accorpamento degli studi per aree disciplinari, ossia l’interdisciplinarità, e quello della valenza non solo educativa (come già nell’Ottocento), ma artistico-culturale della danza per il quale questa disciplina viene ritenuta non solo mero studio tecnico professionalizzante, ma anche momento di ricerca e di raccordo con le altre materie scolastiche.