La Schéhérazade di Nicola Guerra

III. LA RICOSTRUZIONE: CASI DI STUDIO, 
MODALITÀ E TECNICHE

La Schéhérazade di Nicola Guerra (Wiener Staatsoper, 1921):
analisi della trascrizione coreografica e proposta per una ricostruzione


di Francesca Falcone

 

   

 

 

La nuova versione della Schéhérazade di Michel Fokine (su musica di Rimsky–Korsakov), creata da Nicola Guerra (1865-1942) il 5 febbraio 1921 per la Wiener Staatsoper, è in linea con le scelte adottate dal maestro italiano verso una coreografia attenta alle nuove leggi di un mercato ballettistico in continua evoluzione secondo le mode del tempo.
I Balletti Russi di Diaghilev avevano segnato una svolta in questo senso con la lezione impressa di forte coesione tra le arti. Per un coreografo minore che si muoveva lungo gli stessi circuiti teatrali della compagnia diaghileviana, non tenere conto della nuova realtà artistica posta in essere dai Balletti Russi avrebbe significato ridursi ad uno stato di emarginazione. E contro questa condizione lottò Nicola Guerra quando, sulla scia dei grandi cambiamenti coreografici in atto e a dispetto della sua non più giovane età, ebbe il coraggio di riciclarsi, prendendo le distanze dalle formule di Manzotti e dei suoi epigoni e adottando un linguaggio della danza più essenziale legato ad una plastica espressiva del corpo e dunque ad una più incisiva caratterizzazione del personaggio.
Tanto meglio se lo sfondo per il soggetto era costituito da un’ambientazione orientale come la moda del tempo imponeva e le protagoniste erano eroine femminili della letteratura, quali Salomè o Schéhérazade, o della mitologia classica, come Artemide, anch’ella intrisa come le sue sorelle orientali di una voluttà aggressiva, una caratterizzazione a volte inquietante dell’immagine femminile che andava guadagnando sempre più spazio nei diversi ambiti della rappresentazione, in contrasto con quella, indubbiamente più rassicurante, della donna-angelo del focolare. Mi riferisco in questo caso a tre delle maggiori creazioni coreografiche di Guerra degli anni Venti, La Tragédie de Salomé Artémis troublée per l’Opéra di Parigi, rispettivamente del 1919 e del 1922, con Ida Rubinstein nella parte della protagonista, e Schéhérazade, appunto per la Wiener Staatsoper del 1921, su cui incentrerò la mia analisi, creata per i Balletti Russi a Parigi nel 1910, con la coreografia di Fokine, ancora con la Rubinstein nella parte della Favorita e Nijinsky nella parte dello Schiavo d’oro.
Non fu tuttavia a Parigi che Guerra vide la Schéhérazade dei Balletti Russi, bensì, con ogni probabilità nel giugno del 1912 proprio alla Staatsoper di Vienna dove Diaghilev aveva presentato questa creazione coreografica con Karsavina e Nijinsky nel corso di una tournée preparata in ogni dettaglio, per la grande reputazione che allora Vienna godeva come centro artistico e culturale. E’ probabile che Guerra abbia assistito inoltre alla successiva tournée dei Balletti Russi del dicembre del 1912 a Budapest, che si protrasse sino al gennaio dell’anno successivo. Nutro una relativa certezza riguardo a ciò, poiché in quegli anni Guerra ricopriva l’incarico di direttore del ballo presso il Teatro Reale dell’Opera di Budapest, incarico che, iniziato nel 1902 e conclusosi nel 1915, gli aveva dato la possibilità di costituire un solido corpo di ballo e un repertorio di venti balletti, alcuni dei quali mantenuti in vita presso il maggior teatro di Budapest fino agli anni Cinquanta.
La profonda impressione che egli ricavò da quella prima visione dei Balletti Russi è registrabile nell’immediato cambio di rotta che egli impresse alla coreografia del suo Prometheus del marzo del 1913, dunque appena due mesi dopo la tournée della compagnia diaghileviana a Budapest. Evidentemente suggestionato dalla grecità evocata da Nijinsky nell’Après-midi d’un Faune, nel Prometheus egli pose i suoi danzatori a piedi nudi e in pose che privilegiavano una visione bidimensionale.
L’incarico di maître de ballet presso la Staatsoper di Vienna, lasciato vacante improvvisamente da Georgi Kiascht, gli era stato conferito in tutta fretta e con modalità che ancora non mi sono note, per preparare una importante tournée in Spagna programmata da tempo. Fu forse l’impresario di questa tournée, secondo la studiosa austriaca Andrea Amort, a incaricare Guerra dell’allestimento di una propria versione di Coppelia e di altri balletti classici, nonché di Schéhérazade, quest’ultima scelta per avere in programma anche un balletto à la russe, secondo la moda dettata dai Balletti di Diaghilev . Tuttavia, per ragioni che mi sono ancora sconosciute, Richard Strauss, ritornato dopo un breve periodo di assenza a ricoprire la carica di direttore artistico, impose all’amministrazione del teatro come maître de ballet Karl Vollmöller, un artista vicino a Max Reinhardt. Colpito profondamente nell’orgoglio, Guerra abbandonò il teatro il giorno precedente la première rescindendo il contratto ed il suo nome fu cancellato dal programma della tournée del corpo di ballo viennese in Spagna che ebbe inizio dopo appena una settimana. Le prove continuarono tuttavia sotto la guida dei due ballerini Léo Dubois e Ferdinand Rathner, che aggiunsero al libretto ideato da Alexandre Benois e Léon Bakst un nuovo personaggio, quello di uno sciacallo, affidato a Ernst Matray, un acrobata e artista di varietà. Il resto della storia dell’allestimento di questo balletto è un intrigo di colpi di scena e di pittoreschi episodi, che mostrano il clima di incertezza e di disordine in cui versava il maggior teatro viennese in quegli anni.
Le scenografie, molto simili a quelle create da Baskt per la creazione di Fokinee, furono commissionate a Berlino all’artista Ludvig Kainer. Gli interpreti principali della Schéhérazade viennese furono Hedy Pfundmayr, nella parte di Zobeide, e Alexandre Kotschetovsky, nella parte dello Schiavo d’oro. Il nome di questo artista, che aveva fatto parte del cast dei danzatori nella versione originale dei Balletti Russi e che dunque ne conosceva bene l’allestimento, era stato suggerito dallo stesso Guerra. Leo Dubois e Ferdinand Rathner furono i primi mimi, rispettivamente nei ruoli del Sultano Schahriar e del Capo Eunuco. 
Della Schéhérazade mi sono pervenuti dall’Archivio della famiglia Guerra la trascrizione coreografica e il libretto riscritto dal maestro italiano, che contiene alcuni singolari rimaneggiamenti rispetto a quello originale di Benois e Bakst.
Il mio contributo partirà dunque da un’analisi comparata dei due libretti della Schéhérazade, per poi passare ad una indagine della coreografia, considerando che per la versione di Diaghilev le biografie dei protagonisti ci offrono dati e testimonianze, ed abbondano di descrizioni sufficientemente particolareggiate sulla coreografia , mentre per la versione di Guerra non si possiede, al momento, che la sua trascrizione coreografica incompleta in alcune parti. Mancano inoltre i dati relativi alla ricezione viennese.
La composizione di Rimsky-Korsakov del 1888 era ispirata com’è noto a Le Mille e una Notte. Fokine aveva utilizzato solo due movimenti della creazione musicale: il secondo, intitolato dal compositore “Il racconto del principe Calendo” e il quarto, intitolato “Festa a Bagdad, il Mare, Naufragio della nave sugli scogli”. Il primo movimento, denominato da Rimsky-Korsakov “Il mare e la nave di Simbad”, fu utilizzato come ouverture e il terzo, “Il giovane Principe e la giovane Principessa”, fu omesso. La scelta del primo movimento fu giudicata incongruente come ouverture per la sua eccessiva lunghezza ed anche la eliminazione del terzo dette luogo a diverse polemiche, alle quali si cercò di riparare successivamente con il suo reinserimento, che diede agio alla creazione di nuovi interventi danzanti per i due protagonisti. 
Su questa linea si mosse anche Guerra con la sua Schéhérazade viennese, com’è evidente dalla numerazione delle scene, che presentano più sezioni danzate nella prima parte rispetto alla creazione dei Balletti Russi.
Interessante, ai fini della organicità della storia, e ovviamente nella prospettiva di una ricostruzione di Schéhérazade, è stata a mio avviso la identificazione dei temi musicali e del loro utilizzo da parte di Fokine, successivamente condiviso da Guerra. Il primo tema è presentato dai fiati e dagli archi all’unisono ed è un tema virile che Fokine attribuisce al ruolo del Sultano; il secondo tema, una arabesque presentata dal violino solo su accordi di arpa, è tipicamente femminile e risulta più melodico ed insinuante . E’ questo il tema di Zobeide, o Sobeide, così come viene ribattezzata la protagonista rispettivamente da Fokine e da Guerra.
Un assolo del basso accompagna la tipica andatura ondeggiante del capo degli eunuchi, un ruolo che alla creazione del balletto fu interpretato da Enrico Cecchetti. 
Il tema della caccia, rivelato da fanfare e marce, che si rincorrono in lontani echi lungo tutta la seconda parte della creazione, diede agli inizi non pochi problemi a Fokine, che ricorse ad esso per sottolineare l’atteggiamento di circospezione con cui entravano in scena gli schiavi, ai quali era stata spalancata improvvisamente la porta che li teneva prigionieri. L’unico personaggio a non avere una connotazione musicale ben definita è, fatto assai singolare, lo Schiavo d’oro, che si insinua nelle unità tematiche appartenenti ad altri .
Il movimento finale dell’opera di Rimsky-Korsakov, “Festa a Bagdad” fu utilizzato per l’orgia e poi per la carneficina finale. 
Per ciò che riguarda la storia, Guerra apportò una serie di considerevoli modifiche rispetto al libretto di Benois e Bakst, come già premesso.
Innanzitutto consideriamo la scena iniziale. Nella versione di Fokine il Sultano, la Favorita e il fratello del Sultano sono seduti sulla sinistra. Un gruppo di donne appartenenti all’harem giace sdraiato su cuscini in ordine sparso sul palcoscenico. Nella versione di Guerra il Sultano dorme accarezzato nel sonno da Sobeide, che gli si rivolge amorevole anche quando questi si sveglia imbronciato per aver dormito troppo a lungo. La disposizione delle odalische e degli eunuchi a destra lungo l’arco del palcoscenico rileva sin da subito che Guerra intende organizzare con una certa sistematicità lo spazio, non tenendo conto di quella diversificata casualità ricercata da Fokine nella scena iniziale. D’altronde è rilevato ampiamente dai biografi dei protagonisti dei Balletti Russi quanto Fokine volesse esaltare un certo disordine nella orchestrazione delle masse piuttosto che la coralità di movimenti all’unisono ricercata invece da Guerra .
Altrettante sostanziali divergenze si osservano nei tratti con cui è sagomata la figura di Sobeide. Nella versione di Fokine, stando alla storia descrittaci da Cyril Beaumont, Zobeide è un’eroina consumata dalla voluttà, adagiata pigramente sui cuscini, pronta ad adempiere al suo compito di amante-schiava del proprio padrone . Sarà il Sultano a richiedere, con un ordine perentorio, che entrino le tre odalische per la danza. La danza, come nella tradizione classica, si inserisce per allettare, distogliere dai cattivi pensieri istillati al Sultano dal fratello, che aveva in odio le donne perché da lui ritenute tutte infedeli e dunque sostenitore anche della slealtà di Zobeide. Nella versione di Guerra, anche se ciò potrebbe sembrare singolare, per il sovvertimento dell’allora riconosciuta gerarchia che poneva le donne in un ruolo subalterno, Sobeide sembra essere la regista di tutti i movimenti che si svolgono nell’harem. E’ lei che intima alle tre odalische di danzare e poi di interrompersi, è lei che offre da bere al fratello del Sultano e convoca i piccoli schiavi recanti sulla testa ampi vassoi di frutta. E’ ancora Sobeide, ad un cenno di infastidito diniego del fratello del Sultano, a dare l’avvio alla danza delle otto odalische, poi a quella della Schiava nera ed infine dello Schiavo d’oro, chiamato a danzare al cospetto dei due sultani e di tutto l’harem, e dunque non solo alla presenza delle donne, come è previsto nella creazione di Fokine.
Il reiterato ricorso all’intervento danzato fatto da Guerra, oltre a doversi intendere come momento dedicato al divertissement, è un richiamo alla distensione degli animi voluto fortemente da Sobeide, che depone a favore di una sua caratterizzazione come di una donna volitiva, abituata a prendere iniziative pur di piacere al proprio uomo e al suo entourage, allontanando da sé in questo modo la tentazione di tradirlo. Anche quando ella invoca il Sultano a concedere che lo Schiavo d’oro possa essere liberato per esibirsi in una danza, ella lo fa con l’insistenza di una bambina capricciosa. Lo Schiavo d’oro interviene dunque, non per soddisfare le voglie della sultana, ma ancora una volta per allettare gli astanti con i suoi movimenti lascivi. La sua danza piena di voluttà in unione con la schiava nera scatenerà ancor più sdegno nel fratello del Sultano. Per cui, ancora nell’estremo tentativo di placare gli animi, sarà Sobeide a danzare languidamente per il Sultano, non prima di tradirsi per un appassionato incrocio di sguardi con lo Schiavo d’oro che scatenerà la gelosia della schiava nera segretamente innamorata del giovane. Sarà poi la schiava nera a svelare al Sultano il tradimento della sua favorita.
L’aver anticipato nella versione di Guerra l’ingresso dello Schiavo d’oro smorza a mio avviso notevolmente i toni drammatici che si registrano invece nella versione di Fokine, drammaticità che raggiunge il suo apice, stando alle testimonianze concordi riportate da Buckle, Beaumont e Grigoriev , nel momento in cui lo schiavo irrompe con la furia selvaggia di una belva tenuta a lungo prigioniera, e finalmente balza in aria nell’esplosione liberatoria di un salto, prima di cadere ansimante tra le braccia di Zobeide. Dal sensualismo sofisticato e sfuggente dell’eroina di Fokine si passa insomma alla caratterizzazione di una creatura che vuole esorcizzare il sesso con la danza. La femminilità era rappresentata in modo diverso da personalità come Fokine e Guerra, appartenenti a contesti socio-culturali estremamente differenti.
Procedendo in questa analisi comparata, notiamo altri elementi fortemente contrastanti tra le due storie. Nella versione di Fokine l’eunuco è una figura subdola, che si lascia volutamente corrompere; nella versione di Guerra egli è invece un debole che cede rassegnato alle lusinghe solo in cambio di qualche carezza e di un bicchiere di vino. Non ha quindi la statura del traditore, anche perché scompare dall’azione addormentandosi profondamente in un angolo e non si risveglierà se non alla fine quando, in preda al terrore, morirà per mano di uno dei seguaci del Sultano.
Per quanto riguarda la seconda parte di Schéhérazade, nella scena in cui, nella creazione di Fokine, gli schiavi si scagliano con violenta bramosia sulle odalische, mi sembra opportuno riportare una singolare testimonianza di Nijinsky . Sembra che il ballerino russo fosse molto perplesso per il gran disordine con il quale Fokine aveva concepito le scene dell’orgia e della carneficina. Queste scene, a suo avviso, non erano dotate di alcuno schema progettuale né di un benché minimo piano dei movimenti o di una forma definita di posa o atteggiamento, per cui si rendeva difficile la trasmissione del movimento ed impossibile una sua eventuale trascrizione. Beaumont evidenzia con qualche particolare la successione delle danze fokiniane ed arrischia persino qualche descrizione del disegno coreografico e delle evoluzioni compiute dallo Schiavo d’oro nei suoi salti prodigiosi, nei suoi giri veloci, nella sua agonia culminante nel sussulto acrobatico di più giri aventi come perno la nuca e con i piedi in aria . 
Non sono in possesso, allo stato attuale, di alcun dato che possa far luce sulla interpretazione dei primi ballerini della Schéhérazade di Guerra. La sua trascrizione coreografica è estremamente scarna nei dettagli, come sulla nomenclatura dei passi, ciò in linea con la tradizione coreutica italiana che affidava grande libertà di movimento all’interprete principale. 


Analisi della trascrizione

La trascrizione coreografica della Schéhérazade di Guerra è annotata con inchiostro di china in 28 fogli di quaderno da computisteria delle dimensioni di cm. 21 per 14. Ciascun foglio contiene tre figurazioni, che fanno riferimento, nella numerazione delle scene, ad un breve dattiloscritto compilato da Guerra e contenente una descrizione delle azioni mimiche. La trascrizione è fatta evidentemente ad uso personale, benché annotata con cura e sistematicità. Essa segue in linea di massima il sistema usato da molti maestri italiani della seconda metà dell’Ottocento, ed è simile ad esempio a quella fatta da Giovanni Cammarano per l’Excelsior . Il procedimento di notazione è dunque pressoché identico a quello seguito da Guerra nella sua precedente trascrizione di Edelweiss, di cui ho ricostruito alcune sezioni . 
I danzatori-personaggi sono indicati con simboli circolari tracciati con inchiostro nero, come avviene nella trascrizione di Edelweiss, tuttavia sono caratterizzati con particolari grafici che ne sottolineano le differenze anche tramite l’utilizzazione di figurazioni stilizzate. Si noti inoltre che solo le otto odalische sono numerate. Gli spostamenti sono evidenziati con linee tratteggiate terminanti con frecce rappresentanti il punto di arrivo del danzatore. Rispetto alla precedente trascrizione di Edelweiss (1911), risultano assenti le figure ricche di dettagli iconografici che, in calce alla pagina, contribuivano a sagomare atteggiamenti o pose particolari, evidentemente non descrivibili a parole. Per ciò che riguarda la parte descrittiva va fatta una precisazione. 
La prima parte della trascrizione corrisponde a 21 scene introduttive della coreografia che comprende anche la danza di Sobeide. In essa sono presenti le posizioni occupate dai danzatori nello spazio e gli spostamenti dei personaggi, mentre non vengono descritte le scene mimate né i passi utilizzati nelle parti danzate in corrispondenza delle battute musicali. Come ho premesso, per le parti mimate si può ricorrere alle indicazioni forniteci da Guerra nel dattiloscritto contenente la descrizione della scene. 
Annotata con estrema cura è invece la seconda sezione, che presenta più interventi danzanti ed è composta da sessanta figurazioni che fanno parte del quarto movimento della creazione di Rimskij-Korsakov. Questa sezione inizia dalla trentesima battuta della partitura per orchestra, immediatamente dopo il tema per violino solo e arpa, e comprende anche l’Allegro non troppo e maestoso, che indica il ritorno del Sultano e l’inizio della strage. Protagonisti sono quaranta danzatori suddivisi in gruppi di otto tra odalische, danzatrici, danzatori, schiavi e piccoli mori – questi ultimi presenti solo a partire dalla cinquantatreesima figurazione – a cui si aggiungono i primi ballerini Sobeide e lo Schiavo d’oro. Ciascuna figurazione contiene l’indicazione del numero delle battute musicali utilizzate, che da un minimo di quattro arriva ad un massimo di trentadue.
La parte esplicativa, anche se più sintetica rispetto ai quaderni redatto da Cammarano per l’Excelsior, è più dettagliata rispetto alla trascrizione di Edelweiss. Sono presenti quasi sempre le indicazioni dei passi, anche se spesso con la definizione generica di pas à deux temps o à trois temps.
Lo stile adoperato da Guerra è quello demi-caractère, che consente di far equilibrare la danza accademica con la danza di carattere che valorizza certe particolari movenze in un generico stile orientale. Lo stile orientale è indicato da Guerra con movimenti ondulatori delle braccia, con posizioni con le braccia sollevate sulla testa, con i gomiti flessi e le palme rovesciate di fronte al pubblico, o con movimenti del torso e le tipiche circonduzioni del bacino. 
Vorrei far presente che lo stesso Fokine per la sua Schéhérazade non si ispirò ad autentiche danze orientali. In quella occasione egli si dimostrò interessato solo ad evocare l’Oriente della propria immaginazione, dunque gli fu sufficiente la suggestione di alcuni esempi tratti dalla iconografia persiana . Nella trascrizione di Guerra sono presenti anche alcune descrizioni di prese o di particolari atteggiamenti come quelli della ventottesima figurazione, un tableau in cui le odalische poggiano un ginocchio sulla nuca dei propri partner inginocchiati a terra. Potrei affermare che lo stile orientale è evocato in quasi tutte le figurazioni con la ricerca continua della linea ondulata sino al vorticoso turbinio di cerchi della scena finale, accompagnato dal crescendo musicale. 
Ritengo con una certa sicurezza che questa scena abbia molte analogie con quella creata da Fokine, stando alle descrizione fornitaci da Beaumont, che rilevava come l’occhio dello spettatore rimanesse abbagliato dal luccicante vortice di colori messo in moto da questa sorta di ruota vivente . Dalla concitazione orgiastica si passa per contrasto alla scena successiva in cui tutti i danzatori si arrestano immobilizzati dal terrore per l’apparizione improvvisa del Sultano ritornato con i suoi sicari dalla sua finta partenza per la caccia. 
Tuttavia questa è anche l’ultima figurazione trascritta da Guerra, per cui per conoscere il resto della storia è necessario risalire al dattiloscritto contenente la descrizioni delle scene. 
Il finale riserva ancora una volta una sorpresa: lo schiavo non morirà per mano del Sultano bensì di Sobeide, che poi si trafiggerà con la stessa lama. Guerra ci descrive come il gesto di esitazione di Sobeide prima di uccidere il suo amante si tramuti nella orgogliosa determinazione con cui ella si toglierà la vita per porre rapidamente fine allo strazio di vedersi separata da lui. Anche nella morte Nicola Guerra conferisce alla sua Sobeide un ruolo solitario di eroina tragica, che ancora una volta mette in ombra la figura dello schiavo tanto evidenziata invece da Fokine. 

Per concludere vorrei aggiungere che questa mia ricerca sulla Schéhérazade di Guerra è ancora in una fase iniziale. Un viaggio di ricerca a Vienna presso gli archivi della Staatsoper e dell’Österreichisches Theatermuseum potrà in qualche modo aiutarmi ad inquadrare con maggiore organicità il periodo, a quanto pare assai burrascoso, trascorso da Guerra nella capitale dell’allora Impero austro-ungarico, periodo che estenderei anche al suo precedente contratto come primo ballerino per l’Hoftheater viennese tra il 1896-1902. Non nascondo, ovviamente, che la ricostruzione della seconda parte della sua versione coreografica di Schéhérazade potrebbe rientrare nei miei futuri progetti. Temo tuttavia che mi troverei di fronte ad un impegno ben più arduo di quello che ho affrontato con Edelweiss, per la complessità dell’argomento che richiede un diverso approccio interpretativo. Credo tuttavia che valga la pena correre questi rischi, che fanno parte dei compiti del ricostruttore e dello storico, non foss’altro che per inquadrare artisti minori, restituendoli di diritto alla storia della danza italiana.




Si ringraziano gli eredi Guerra, in particolare il figlio Livio, per la generosa disponibilità con cui hanno messo a disposizione il proprio Archivio e l’affettuoso incoraggiamento per la mia ricerca.