Riproduzione, ricostruzione e revival coreografici

V. ESPERIENZE E RIFLESSIONI

Riproduzione, ricostruzione e revival coreografici.
Il percorso creativo del coreografo


di Joseph Fontano

 

   

 

 

Partiamo dal presupposto che nell’arte non ci sono regole obbligatorie o prestabilite. La creatività dell’artista non è ostacolata da metodi scientifici o formule preesistenti. Per questo ogni artista attinge da immagini, da materiale di origine diversa e dal suo bagaglio intellettuale e culturale. L’artista è libero di creare a prescindere dalla propria religione e cultura un’opera inedita, nata semplicemente da un’idea; quindi il creatore può scegliere senza vincoli il mezzo a lui più consono.
Nello specifico mi riferisco alla danza nata all’inizio del secolo scorso, cioè quella nata con la rivoluzione di Isadora Duncan, che ancora oggi presenta vari filoni, dalla danza libera alla danza espressiva tedesca, nonché la danza contemporanea fino al “Teatro danza”. Così come la Duncan, ancora oggi ogni coreografo segue un suo percorso originale per costruire un lavoro inedito. Alcuni coreografi hanno estratto dalle loro coreografie una particolare qualità di movimento e alcuni principi basilari, per poter poi a loro volta insegnare ad altri il proprio stile mediante una tecnica e una classe di danza personale e unica.
Le tecniche di alcuni capostipiti della danza contemporanea come Martha Graham, Merce Cunningham o Doris Humphrey sembrano appartenere ad un lavoro più stilistico che di tecniche puramente performative. Martha Graham ha utilizzato il principio cardine della sua tecnica, la “contraction-release”, come principale strumento per esprimere i temi delle sue coreografie. Merce Cunningham invece ha utilizzato la “curve”, mentre Doris Humphrey ha creato e coniugato il principio “fall and recovery”. Questi sono solo alcuni aspetti che appartengono alla loro ricerca coreografica. Essi infatti hanno semplicemente utilizzato ciò che hanno inventato, cioè i loro principi originali, ma non hanno necessariamente utilizzato il movimento da loro creato con la stessa dinamica, qualità, o nello stesso stile ad ogni coreografia e quindi la “curve”, la “contraction-release” o il “fall and recovery” si sono evoluti costantemente. Ogni coreografo attraversa varie fasi artistiche, a seconda del proprio bagaglio culturale e del proprio stato d’animo, ed è proprio questo che rende ogni lavoro originale. Va anche puntualizzato che questi principi possono essere usati per infondere una conoscenza profonda al proprio lavoro coreografico, a differenza di quanto avviene per il danzatore che, non avendo la stessa conoscenza e non condividendo con il creatore la fase di ricerca, esegue l’opera coreografica.
Un lavoro coreografico di danza contemporanea non presenta codici precisi, ma al contrario nasce dalla fantasia dell’artista creatore, mentre una riproduzione coreografica comporta il rispetto di alcune regole. È importante nella ricostruzione di un’opera coreografica contemporanea ricostruire il percorso originario del creatore che ha pensato e ideato un lavoro inedito, tornare cioè al punto di inizio della creazione.
Dopo più di trent’anni di lavoro come danzatore, coreografo, insegnante, nonché direttore di compagnia, mi sono sempre posto il problema di come poter ricostruire fedelmente un lavoro, cercando di evitare la superficialità nella riproduzione. Talvolta guardando alcune riproduzioni coreografiche sia di grandi capolavori che di opere minori, ci si trova di fronte solo in parte ad un revival del lavoro originale. I movimenti sembrano uguali ma il risultato è superficiale, è come se mancasse qualcosa, l’anima.
Il mio punto di partenza consiste nel far rivivere ai danzatori, che devono eseguire l’opera coreografica, il percorso creativo del coreografo. Durante questo percorso egli usa in modo unico il proprio estro, inventando e creando un lavoro che contiene vari aspetti, soprattutto la ricerca. Ogni coreografo individua la propria metodologia di ricerca senza limiti o costrizioni, per poi individuare un’idea che può essere una storia, una poesia, un racconto, un fatto storico, una suggestione musicale, una qualità di movimento o un luogo architettonico.
Quindi il lavoro non è necessariamente destinato ad un palcoscenico, magari sarà un lavoro itinerante e a differenza delle coreografie dei secoli scorsi, oggi i coreografi contemporanei creano lavori in un modo spregiudicato.
Il primo punto di questo processo consiste dunque nell’individuare l’idea originale del creatore, in modo che l’approccio alla riproduzione sia il più fedele possibile. Ed è proprio durante il lavoro di individuazione del processo creativo che viene presa in considerazione la ricerca del coreografo.
La prima fase comporta la creazione di un laboratorio per i danzatori che poi dovranno eseguire la riproduzione. Durante questo laboratorio viene individuato e riprodotto il processo creativo del coreografo, partendo appunto dall’individuazione della sua idea originale.
Dal 1960 al 1990 per ricostruire i lavori coreografici, i danzatori prima seguivano la lezione di tecnica del coreografo e successivamente cominciavano le prove. Quando vivevo a New York e facevo parte della Paul Sanasardo Dance Company, ho assistito alle lezioni tenute da Pina Bausch che dapprima insegnava il suo stile e poi le sue coreografie, al pari di quanto facevano Alvin Nikolais e molti altri coreografi di quel periodo.
Oggi ritengo indispensabile far partecipare il danzatore non solo alla fase tecnica ma anche alla fase creativa del coreografo per ottenere una più fedele riproduzione.
Se ad esempio il coreografo è stato ispirato dal movimento dell’acqua che scende giù per il suo lavandino, la ricerca coreografica è soprattutto sul movimento circolare dell’acqua che scende, a volte più veloce e a volte più lento, ma sempre a spirale. Così durante il laboratorio intraprende la ricerca di una serie di movimenti circolari, a spirale, lenti e veloci, improvvisando una serie di sequenze, riproducendo con l’intero corpo oppure solo con le braccia alcuni movimenti che nascono dall’idea originale. Il lavoro viene sviluppato in seguito con un’improvvisazione di frasi coreografiche, che possono far spostare il corpo nello spazio in modo circolare e/o a spirale. Una volta concluso il laboratorio si passa alla seconda fase, quella cioè della riproduzione della coreografia attraverso la “memoria fisica”. Il presupposto è che ci sia un danzatore che ha precedentemente eseguito tale coreografia, altrimenti vengono utilizzati dei video, dei filmati o i diversi sistemi di notazione. Purtroppo non sempre il video riproduce in modo fedelissimo la qualità del movimento, ed è importante che questa fase avvenga sempre successivamente all’esperienza del laboratorio, e cioè dopo che il danzatore ha appreso con chiarezza le dinamiche concepite dal coreografo attraverso la sua ricerca.
Se il danzatore non ha avuto un’esperienza diretta con la coreografia, cioè non l’ha mai eseguita, il laboratorio semplifica il lavoro del ricostruttore. All’interno del laboratorio, infatti, il danzatore avrà la possibilità di individuare le qualità dei movimenti rendendo a sua volta l’esecuzione della riproduzione più viva e fedele, in quanto non avrà solo un ruolo di esecutore ma anche di creatore.
Solo a questo stadio si inizia a ricostruire alcune frasi della coreografia, approfondendo anche il modo in cui il coreografo ha utilizzato la musica. Il coreografo, inoltre, può scegliere i ruoli per i singoli danzatori dopo averne conosciuto e sperimentato durante il laboratorio le capacità tecniche e le qualità artistiche.
Infine nella terza fase si passa alla riproduzione dell’opera, tenendo conto della drammaturgia e dell’idea inedita del coreografo che l’ha creata e prendendo in considerazione il periodo storico nel quale è avvenuta la creazione, oltre che il background culturale dell’artista.
Una mia ultima considerazione riguarda ciò che resta nel nostro cuore e nella nostra mente dopo aver visto una coreografia. Non è un’opera coreografica riprodotta con una tecnica precisa e perfetta quella che ci emoziona, che ci trasmette qualcosa, ma al contrario, forse, essa diventa un capolavoro quando il coreografo la realizza esprimendo al meglio il talento dei suoi danzatori, con un lavoro che si rivela di estrema intelligenza, teatralità e musicalità. È questa la formula che suggerisco di sviluppare ogni qualvolta si ha a che fare con la ricostruzione di un lavoro coreografico ed è opportuno, quindi, che oggi i danzatori abbiano una conoscenza più ampia delle proprie possibilità corporee in modo da poter affrontare diversi “stili” di danza.
È importante a mio avviso dover accettare che oggi le varie tecniche create dalla danza classica, dalla danza contemporanea e così via, non sono più sufficienti per la formazione di un danzatore “neutro” e allo stesso tempo completo. La danza è andata oltre e i coreografi di oggi creano opere sempre più trasgressive, richiedendo ai danzatori qualità tecniche elevate ed un grande impegno fisico, facendo uso della respirazione aerobica ed anaerobica, facendoli danzare sui muri o ancora appesi ad una corda o nell’acqua, spesso utilizzando la voce, la parola e così via ... Bisogna inoltre tenere conto che per le future riproduzioni dei lavori attuali sarà sempre più importante e fondamentale conoscere il percorso creativo del coreografo.