La Propedeutica della Danza negli anni ‘40 e nei primi anni ‘50

I. TRASMISSIONE

La Propedeutica della Danza negli anni ‘40 e nei primi anni ‘50

di Elena Viti

 

   

 

 

La ricostruzione di cui mi sono voluta occupare riguarda il corso di Propedeutica della Accademia Nazionale di Danza, un corso esistito in quell’istituto fin dai primi anni di attività, con specifici programmi e finalità, rivolto alle bambine che non abbiano ancora raggiunto l’età per frequentare i corsi regolari.
Come è a tutti ben noto la creazione, e per molti anni anche la direzione dell’accademia, si deve a Jia Ruskaja, nome d’arte di Eugenia Borisenko, danzatrice russa che in precedenza aveva operato a Milano sia come coreografa che come insegnante alla scuola del Teatro alla Scala e in una scuola di danza da lei gestita (presso il Teatro dal Verme). Già in quella scuola, siamo alla fine degli anni ‘20, con la sua maniera innovativa di condurre le proprie iniziative, la Ruskaja introdusse un corso per bambine a partire dagli otto anni.
Quando nel 1940 venne aperta a Roma la Regia Scuola di Danza destinata a diventare, nel 1948, Accademia Nazionale di Danza venne subito inserito un corso rivolto alle bambine (per avere i maschi ci sarà da aspettare il 1970, in tutti i corsi) di età compresa fra i 6 e i 10 anni al quale venne dato il nome definitivo di “corso di propedeutica della danza”, mai mutato negli anni.
La decisione della Ruskaja di inserire un corso preparatorio non fu determinata solo dalla necessità di offrire alle bambine un lavoro introduttivo allo studio professionale: essa corrispondeva alla sua concezione della danza come educazione psico-fisica oltre che tecnico-artistica, concezione da lei maturata attraverso i numerosi contatti con l’ambiente artistico e culturale internazionale degli anni fra le due guerre. La sua vita intensa e la sua indubbia capacità di recepire stimoli e novità la portarono a considerare gli studi che si stavano diffondendo sulla ritmica, sulla musica e sulle nuove tendenze della ginnastica femminile e trasferirle in campo educativo-coreutico per farne quel lavoro specifico e particolare che ha lasciato una profonda traccia nell’esperienza nazionale.
Fin dai primi anni dei secolo scorso, infatti, una nuova concezione degli studi artistici aveva pervaso gli ambienti internazionali. Molti erano stati coloro che in quel periodo avevano concentrato una parte del loro lavoro sulla possibilità di utilizzare le nuove idee sul movimento, sull’arte, sulla musica, sul teatro e sulla cultura in genere per rivolgere ai bambini studi artistici innovativi. Laban, Jaques-Dalcroze, Duncan, per citarne solo alcuni, ebbero fra le loro attività principali quella di aprire scuole per bambini, diffondendo un modo nuovo di lavorare con il mondo dell’infanzia e collegando al discorso pedagogico le nuove scoperte e le nuove teorie sul corpo e sul movimento.
Sappiamo che ci furono numerose occasioni di incontro e di scambio di idee con altri insegnanti e coreografi negli anni che precedettero la seconda guerra mondiale e, dai documenti relativi a manifestazioni e tournées che si svolsero in quegli anni, è evidente la stretta analogia fra le idee diffuse dai personaggi provenienti da formazione labaniana, duncaniana e dalcroziana e la posizione della Ruskaja.
Il consenso e la diffusione che ebbero negli anni ’20 e ’30 in Italia la danza libera e la ritmica andarono a incontrare l’esigenza di creare un programma di studio adeguato all’età delle piccole allieve del corso di propedeutica, fondendo idee ed esperienze che concorressero a creare quell’insieme di esercizi e di studi tecnici ed espressivi che ne costituirono la base.

Sui contenuti delle lezioni del primo periodo non è stato conservato, purtroppo, materiale scritto: restano immagini riprese durante le lezioni o le manifestazioni della scuola e le brevi note di presentazione dei programmi di sala.
Di sicuro è stato sempre evidente il desiderio di creare esercizi che si adeguassero alla crescita fisica delle piccole allieve e anche se, con il senno di poi, alcuni esercizi oggi possano risultare inadeguati, non si può che ammirare la capacità di aver compreso l’importanza della gradualità del lavoro sul corpo che in quasi tutte le altre scuole professionali di danza dell’epoca non esisteva. Al di là degli specifici contenuti è la novità didattica di aver pensato che un lavoro preliminare fosse indispensabile per i successivi studi coreutici a risultare particolarmente moderna.

Sarebbe stato inutile oggi portarvi documenti che mostrassero come, nello stesso periodo, studiassero le bambine di età corrispondente, perché credo che non ci sia bisogno di filmati o foto per confermare la presenza per anni e anni sul territorio nazionale di bambine avviate allo studio della danza cominciando direttamente dalla classica lezione composta di sbarra e centro, senza contare la precocissima introduzione delle fatidiche scarpette da punta.
Ma a parte l’aspetto strettamente tecnico e medico oserei dire, della questione della preparazione a ulteriori studi di danza, tra le idee alla base del lavoro proposto dall’Accademia non mancano le proposte mirate a favorire la qualità del movimento.
Leggiamo nel programma del saggio di fine anno del 1945 e 1946: “Prima ancora di affrontare i rudimenti tecnici della danza, l’istinto delle piccole aspiranti è indirizzato, per mezzo di composizioni elementari, verso la musicalità del gesto”. Frase cui viene aggiunto nel 1947: “… verso il controllo e la musicalità del gesto e del passo”.
Nello stesso programma leggiamo anche della grande importanza attribuita nei paesi “civili” (sic) “all’educazione plastica del corpo, al suo addestramento, a quelle attitudini e a quei gesti i quali, diventando a poco a poco una seconda natura, gli conferiscono un controllo perfetto ed un senso ritmico”. Frase, questa, che ci rimanda all’idea, che già allora la Ruskaja cercava di divulgare, secondo cui lo studio della danza si doveva sempre più diffondere per dare il proprio speciale e particolare apporto alla formazione se non di tutti i bambini, almeno delle bambine, o fanciulle come lei spesso usava dire.
Non staremo qui a soffermarci sulla lunga storia delle battaglie, iniziate allora e non ancore finite, per l’introduzione della danza nella scuola, ma basti dire che il progetto didattico che la Ruskaja impostò andò certamente oltre la specifica preparazione allo studio della danza, entrando nell’ambito formativo ed educativo.
E’ importante invece, parlare un po’ dei contenuti delle lezioni, così come li ho potuti desumere non solo dai documenti, ma, principalmente, dalle testimonianze dirette. 
Stabiliti, infatti, i principi di base e decise le finalità del corso, le lezioni della Regia Scuola furono affidate dalla Ruskaja alle sue allieve migliori prima fra tutte Giuliana Penzi, giovanissima, affiancata in seguito (dal 1946) da Avia de Luca, entrambe ex allieve della scuola del Teatro alla Scala, passate alla scuola della Ruskaja a Milano e quindi a Roma.
Insegnerà in seguito propedeutica, negli anni ‘50, anche Mariella Angelucci.
Ringrazio subito moltissimo Giuliana Penzi che oggi è qui con noi, e che con la sua straordinaria memoria mi ha aiutata in modo eccezionale. Lei stessa mi ha confermato che è stato ad opera di Avia Luca che furono ideati e consolidati una serie di esercizi che sarebbero rimasti per lungo tempo un punto di riferimento fondamentale a livello nazionale per il lavoro con le bambine appartenenti alla fascia di età compresa fra i 6 e i 10 anni, età definitivamente fissata fin dal 1940 per tali lezioni.
Un primo argomento sul quale non ci sono stati dubbi, è stato quello del lavoro sui singoli segmenti del corpo, considerato fondamentale per acquisirne la capacità di controllo e la consapevolezza. Tutti i movimenti relativi, flessioni, estensioni, rotazioni, circonduzioni, di testa, spalle, gomiti, polsi, e arti superiori, arti inferiori, ginocchia, caviglie e tronco costituivano la parte più tecnica della lezione. Tali esercizi venivano eseguiti per lo più nella posizione seduta con gambe incrociate o, per i movimenti degli arti inferiori e dei piedi, in quella seduta con le gambe allungate.
Non è stato difficile trovare la stretta corrispondenza esistente fra questo tipo di lavoro e gli esercizi proposti da Jaques-Dalcroze nei suoi fondamentali testi di inizio secolo, a ulteriore conferma dello scambio di informazioni e studi che coinvolse il nucleo originario dell’Accademia. Del resto il teorico viennese scriveva anche che “…prima di mettere il corpo al servizio dell’arte conviene perfezionare il meccanismo di questo corpo, sviluppare tutte le sue facoltà e correggere i suoi difetti”: affermazione, questa, della necessità di una preparazione, che non potrebbe essere più simile alle frasi sopra citate che illustravano, dai testi e dagli opuscoli dell’Accademia, il corso di propedeutica ivi avviato.
Ma torniamo alla lezione. Il lavoro sui segmenti del corpo si collocava verso l’inizio dell’ora di tempo stabilita come durata per la classe e ne occupava una buona parte. L’entrata avveniva con uno spostamento, eseguito con una corsetta o un semplice saltello che consentisse alle bambine, con un percorso ben definito, di raggiungere il proprio posto. Con questa disposizione venivano eseguiti i movimenti dei vari segmenti del corpo e le battute di mani a tempo. Dopo di questi si inserivano gli esercizi espressivi e interpretativi nei quali le bambine, sempre seguendo uno schema prefissato e rigidamente scandito dalla musica, eseguivano movimenti che simulavano situazioni considerate particolarmente stimolanti e adatte al caso: cogliere fiori, cullare un bambino, seguire il volo di un uccellino. Alla fine si potevano eseguire percorsi più complessi, anche creando composizioni di gruppo arricchite da movimenti degli arti superiori e della testa.
Lo schema della lezione, quindi, divideva in modo piuttosto netto gli esercizi relativi alla tecnica da quelli così detti espressivi, oltre a non lasciare, di fatto, una vera libertà interpretativa, ma assegnando comunque, anche nelle fasi considerate più importanti per favorire la creatività, precisi movimenti, uguali per tutti.
Per chiarire meglio il lavoro di quegli anni, mi è sembrato indispensabile farvi vedere qualcosa di ciò che venne effettivamente realizzato. Perciò, seguendo le indicazioni trasmesse da Giuliana Penzi, le immagini dell’epoca e con la preziosa collaborazione della mia collega Milvia Cardini, è stato possibile ripensare a quegli anni e riproporre ad un gruppo di allieve dell’Accademia una breve sequenza.
Assisterete ad una entrata, ricostruita seguendo una foto che vedrete nella copertina del filmato, che rappresenta alcune bambine disposte allo stesso modo, ed un esercizio che ho voluto proporre per la sua assoluta modernità, visto che ci riporta ad uno studio sul peso, che risulta particolarmente attuale. Seguono poi alcuni movimenti della testa e delle mani e dei polsi e, per concludere la parte tecnica, una sequenza dove vedrete le bambine impegnate in un inarcamento forzato del dorso che è oggi assolutamente improponibile, essendo un movimento che può avere un effetto molto negativo sulla colonna vertebra1e, ma che ha fatto parte per lungo tempo del programma di propedeutica.
Gli esercizi interpretativi scelti sono una ninna nanna, che ci conduce poi alla conclusione del filmato con una composizione che vedrete corrispondere perfettamente, se non per il numero, per la posizione, ad una foto dell’epoca, e un esercizio che simula la cura e la crescita di quattro piccoli semi che diventano fiori da cogliere. Questo esercizio, devo dire, è rimasto talmente impresso a tutti coloro che lo hanno visto, o eseguito come Milvia Nardini, che non poteva essere escluso, sembra quasi che sia un simbolo di quelle lezioni: tutte le persone da me interpellate lo ricordavano. Spero quindi vi faccia piacere rivederlo. 
Le bambine, un gruppo di allieve dell’attuale corso di propedeutica dell’Accademia di età compresa fra i sette e gli otto anni, si sono trovate, con pochissimi incontri, ad imparare sequenze nuove. Si notano visibilmente alcune incertezze, che risulteranno più che perdonabili, spero, solo si consideri l’entusiasmo e la buona volontà delle bambine 
L’allieva più piccola, una bambina orientale al centro del gruppo, indossa un costumino originale dell’epoca il cui modello ho fatto copiare in forma più stilizzata per realizzare i costumi per il resto del gruppo.

Veniamo ad un argomento molto importante: le musiche. Nell’archivio dell’Accademia ho potuto trovare alcuni spartiti originali con l’indicazione dei gruppi di propedeutica per i quali erano stati usati. Alcuni, come una fantasia di marce di Schubert (queste in particolare per il saggio del 1951 curato da Avia de Luca) e un valzer di Granados indicato come “valzer per bambini” probabilmente per la sua chiarezza compositiva, erano stati usati per saggi. Queste musiche sono state eseguite per me da Mauro Viscardi, che ha inoltre espressamente composto un brano per l’esercizio “dei fiorellini”, il quale necessitava di una specifica scansione che non sono riuscita a ritrovare negli spartiti già pronti. Del resto, come sapete, la collaborazione tutta speciale che si instaura fra l’insegnante di danza e il musicista che collabora alla lezione fa sì che spesso si creino dei brani ad hoc per gli studi proposti, che poi è difficile ritrovare al di fuori di quella lezione. E’ probabile che ogni insegnante, Penzi, de Luca e Angelucci abbia avuto ogni giorno musiche improvvisate sul momento.

In conclusione vorrei dire che questo è stato per me uno studio veramente piacevole e interessante. Da tanti anni insegno Propedeutica e andare alle radici del mio lavoro mi appassiona e mi permette di fare sempre nuove scoperte.
E’ chiaro che alcuni elementi degli esercizi di quei tempi mi fanno un po’ sorridere, ma l’ammirazione per chi ha aperto la strada resta in me grande.
Voglio chiudere con due osservazioni. Una riguarda il fatto che questo lavoro per troppo tempo è stato considerato, non tanto nelle iniziali intenzioni dell’Accademia, ma nella sua storia successiva, “preparatorio a….”, sottovalutandone, almeno fino agli anni Settanta, il valore intrinseco come importante esperienza formativa di per sé. Un altro punto, da imputare principalmente alla diversa concezione pedagogica della didattica degli anni cui si riferisce questo studio, riguarda il fatto che si trattava di un lavoro creativo troppo guidato e troppo poco lasciato all’inventiva autentica delle allieve. Questo oggi in una lezione di propedeutica ben fatta non avviene più. E’ da sottolineare inoltre, ed è questo un concetto che esprimo per ultimo, ma che per me costituisce la vera essenza di un insegnamento che vuole essere veramente di aiuto a chi intraprende lo studio della danza, che la creatività deve essere parte integrante dello studio anche tecnico e deve farne parte a pieno titolo. E’ solo attraverso il completo coinvolgimento attivo e partecipativo del bambino che si può raggiungere il miglior risultato tecnico, facendo in modo che questo arrivi come risultato di una consapevolezza corporea introdotta proprio attraverso le fasi della ricerca creativa.

   
 

Bibliografia di riferimento 

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