Balli di confine

II. TRADIZIONE, TRADUZIONE, TRADIMENTI

Balli di confine

di Paolo Pellarini

 

   

 

 

Premessa

L’area interessata da questa ricerca (che iniziò nel 1970) è situata nella zona del confine orientale d’Italia e comprende anche alcuni territori, che oggi appartengono alla Slovenia, ma fino alla seconda guerra mondiale erano dell’Italia.
Possiamo parlare di una spontanea osmosi musicale e coreutica, che qui si è sviluppata nel tempo, favorita da scambi commerciali e frontalieri tra i due versanti.
In Friuli già conosciamo le danze principali come la Furlana e la Stajare, ma anche la Resiana e l’Avianese, ma poco sulle forme espressive popolari di questo territorio tra Resia e Gorizia. D’altra parte, salvo l’attività di qualche studioso locale, il Friuli non possiede ancora un centro di documentazione musicale e corale, come Lublijana (Slovenia), dove opera da diversi anni.
Se escludiamo qualche canto religioso, dobbiamo risalire al 1600, quando si ricordano danze di giovani sul Carso triestino (pensiamo poi al “Ballo della verzura”, che si tiene ancora oggi a Trieste). Includiamo invece tra i balli la corsa ritmata dei “Blumarji” che si svolge ogni anno a Montefosca, un paese delle Valli del Natisone. Alcuni uomini vestiti di bianco con un copricapo ornato di nastri colorati, stretti da alcune corde a sostenere dei campanacci, ed in mano un lungo bastone, (per tre volte) corrono sui prati per risvegliare la natura secondo un rito apotropaico.
Srezneskji, uno studioso russo, ricorda che nel 1841 si svolgeva in quest’area geografica un ballo chiamato ”Te zenskilov” (Caccia alle donne) che si faceva in occasione delle nozze .
A Vergogna, posta in una valle laterale di Caporetto, si ricorda il ballo “Tramplan” (Trave piatta) e nella stessa area di confine anche il ballo “Stari ples” (Vecchio ballo), che prendeva origine dal mito di Teseo e dal labirinto di Creta: probabilmente con una lenta migrazione verso nord, lungo la dorsale balcanica, ha raggiunto la valle di Caporetto. Salvo errori possiamo identificare una polka tempo 2/4 con la “Stari polkika” (Vecchia piccola polka).
Nelle valli del Natisone (Benecia), poi, è testimoniata la presenza di due tipi di danze, accompagnate dal canto: quelle veloci – Potesavka (testo San Vidu Marijanco) in æ – e quelle lente – Pocotavka (testo Jubca Moja) .
I limiti di questo lavoro sono appunto la trascrizione della coreografia, fatta su semplici figure e non supportata da una scrittura internazionale dei passi, peraltro difficili, usata invece in Slovenia dai ricercatori del Centro.
È stata comunque preziosa la collaborazione del Gruppo folkloristico “Balarins di Riviere” di Magnano in Riviera, sorto a Tarcento nel 1965, che mi ha permesso di realizzare alcune fotografie .


La Sclave - La Schiava

La letteratura ricorda questo ballo nel 1574 in occasione della visita di Enrico III di Francia al castello di Porcia, dove l’Imperatore ammirò le danze friulane tra cui la Stica e la Schiava. Ma anche Ermes di Colloredo, poeta e diplomatico friulano, intorno al 1570 scrive in versi: «Jo di legrezze uei che balin une sclave» (voglio con gioia che ballino una Schiava) .
Conosciamo uno spartito musicale del 1716, stampato a Norimberga, in tempo 6/8 di una danza, chiamata Schiavona, che sembra diversa dalla Furlana conosciuta anche a Venezia. Nello stesso secolo a Udine, in occasione del Carnevale del 1794, furono scritte dal maestro Xsbrztadoo, detto Seccatimpani, diverse Schiave nuove ed eseguite in un teatro con l’accompagnamento di un’orchestra di contrabbassi, flauti e rinforzata da violini .
Ancora Ippolito Nievo, nel Conte Pecoraio del 1857, descrive una Schiava: «l’orchestra disposta sopra un tavolato prese tosto a strimpellare una musichetta allegra, saltellante, un po’ bizzarra, un po’ anche ubriaca» .
Il professor Gaetano Perusini, docente di etnografia, aveva acquisito dal Monsignor Comelli a Nimis, un paese della pedemontana orientale, un centinaio di motivi di questa danza in æ senza testo corale, risalenti a metà del secolo XIX. Una sola era intitolata Babiza (nella parlata locale “donna vecchia”, “nonna”). Anche se anonime, queste musiche potrebbero essere trascritte da un maestro ispirandosi a motivi popolari conosciuti nella zona nel 1800.
La cronaca ricorda ancora questa danza eseguita a Resiutta nel 1914 in occasione dell’inaugurazione della Bandiera della Società Operaia.
Rimane la descrizione coreografica, che rispetto a molte danze da sala, non è parallela o confrontabile con uno spartito musicale, e quindi si ricorre anche in questo caso ad una descrizione generica delle movenze.
Nel caso viene spesso sottolineata la libertà delle figure e secondo gli studiosi sloveni viene considerata una derivazione della “Stajare” (Siriana) slovena, che spesso invece (come in Carniola) viene accompagnata dal canto.
Questa danza, pur avendo lo stesso ritmo di æ, ha avuto una vita autonoma rispetto alla Stajera ed alla Furlana. Per alcuni, poi, potrebbe esserci un collegamento alle danze resiane, in quanto si parla di «cambio di ritmo scandito col piede del suonatore di viola» (la Resiana è in 5/4) e di una ripetitività «eterna», creata dai movimenti di coppie disgiunte.
Proviamo a descrivere allora qualche figura guida. Un cronista all’inizio del 1900 scriveva:

La dama raccoglie fra le dita due lembi del grembiule, oppure della sopraveste, che tiene allargata e sollevata alquanto e scivola via e dondola rapida in voluttuosi ondeggiamenti la persona, mentre il ballerino le gira attorno piroettando e salutando e battendo tratto, tratto i piedi a suon di musica e passando vicino schioccando le dita in alto. Questo dura più o meno a lungo, mentre la dama cerca sempre di tenersi con la persona rivolta dalla parte di lui, spesso girando lentamente in largo, con i lembi della veste o le cocche del grembiule tra la mano.
I due si avvicinano, egli prende l’indice destro di lei con la sinistra, se pure non prende il lembo di un fazzoletto bianco che ella porta nella destra e li gareggiano tutti e due nel descrivere carole secondo i tempi della musica, passando e ripassando a vicenda sotto l’arco delle due braccia sollevate in alto e a quel modo congiunte.


Un’altra figura viene ricordata da un certo Stanislai in una lettera inviata alla Patria del Friuli (1914) dopo aver visto a Tarcento un ballo eseguito da anziani, dove c’è un ballerino con due donne:


Al suono di un vecchio violino, con cui un suonatore ripeteva una nenia particolare, piuttosto monotona e malinconica, i tre presero a danzare una specie di Sclave, quale io vidi ballare da popolani a Cividale, ma senza battere i piedi ed accompagnamento di gridi e assai più tranquilla, composta e graziosa. Era una danza in cui le due donne si aggiravano a passo di musica, ma con mosse più ardite, afferravano tratto tratto le cocche di un grande fazzoletto bianco che esse tenevano per mano e sotto cui alternandosi passavano sempre ballando quel loro composto e pur grazioso ballo .


Evidentemente questa melanconia e questa compostezza sono molto lontane dalla Furlana, ballata nelle calli di Venezia e testimoniano un’influenza tipicamente slava, non solo nella musica, ma anche nella coreografia.


Di là di Sèdule - Al di là di Sèdula

A Sedula (Sedlo), presso Bergogna (oggi Slovenia), nell’Ottocento si svolgeva un mercato stagionale sullo spartiacque alpino, dove avveniva uno scambio di prodotti locali (castagne, granoturco, latticini, utensili in legno e di lavoro) con la pianura.
Alcune bancarelle vendevano piccoli pani tondi e dolci per bambini. Ovviamente era un facile incontro tra uomini e donne e se c’era un violino o una fisarmonica si poteva ballare.
Molta gente veniva dal fondovalle (dall’Isonzo e dal Natisone).
La ricerca su questo ballo di confine è iniziata a Subit negli anni Settanta e continua tutt’ora: già si possedeva lo spartito musicale trascritto da Giovanni Pomelli detto Rizzot (riccioluto), di Nimis, autodidatta suonatore di chitarra e di “liron” (contrabbasso) che suonò tra l’altro alla Rai ed in Australia, dove si trovò come emigrante.
Nella vita faceva il cameriere ed il viticultore (nei suoi vigneti Cru produceva un ottimo Ramandolo) ma scriveva anche poesie in friulano e raccolse numerose musiche popolari risalenti al 1700 e al 1800 di cui abbiamo potuto recuperare solo una parte, in particolare alcuni balli (Pieri Fornai in 4/4, il Sivilot in 2/4, la Gurizzane in æ , la Pestadorie, Su che je l’ore …) .
Del ballo “Di là di Sèdule” non conoscevamo le figure e le movenze che accompagnavano il testo cantato. Quest’ultimo ha un carattere “automeles” (mescolato) ovvero per uno stesso spartito musicale possiede due testi di significato diverso, uno in friulano e l’altro in sloveno. Passando di casa in casa, vennero fatti dei quesiti sul modo di muoversi o sui gesti eseguiti. Si sono potute così costruire alcune figure guida, ambientate nel mercato popolare. Si tratta di una disposizione a file con coppie che avanzano e retrocedono a ritmo di musica. Il ritmo in questo caso è segnato dagli zoccoli “zupiei” (zoccoli di legno con tomaia di cuoio) e “zoculis”, parole che fanno rima con «balen, balen… marzoculis» («balliamo, balliamo … caprette»).
Un’altra figurazione tipicamente slovena presenta le ragazze con le mani alla nuca, mentre gli uomini tengono le mani sul gilet, così ruotano intorno alla donna proseguendo con un giro di valzer.
A significare maschilità e disponibilità economica si esegue una pantomima con l’offerta del “cincin” (un boccale di vino di cinque litri) dal quale le ragazze sono obbligate a bere.
Il coro tra una figura e l’atra utilizza questi testi

In friulano:

Di là di Sèdule
si va carotulis 
a comprà cotulis 
a bon marcjat 
La plui biele 
a vôt centesims 
la mèzane a un carantàn

 

Al di là di Sèdula
a comprar gonnesi va a carote
a buon mercato
La più bella
a otto centesimi
la mezzana ad un carantan

 


In sloveno:

Ao, ioi, ioi 
jubsa moja 
kan ti prisla 
saldo teca 
ona je miela 
zidane hlace 
ona je miela 
ocrne oci 

 

Ao, ioi, ioi
amor mio
dove sei venuta
correndo continuamente
ella aveva
mutande di lana
ella aveva
occhi neri


Altre figure guida si possono considerare l’avanzamento dei danzerini ritmato dal battito dei piedi, l’incrocio frontale delle file, che richiama alcuni balli resiani ed il movimento del busto e del capo delle ragazze in cerchio, che richiama il “kolo”.
Se ci spostiamo a valle nel versante italiano, valle del Cornappo, troviamo il paese di Torlano, ricordato anche da Ippolito Nievo e Italo Svevo. Qui si teneva fin dal 1850 il Ballo delle cameriere (Marcello Cofini riporta la citazione di un ballo detto “Torlano”), che lascia aperte allo studioso diverse ipotesi.
Nelle valli vicine al Torre, alla fine del 1800 si sviluppava la ricerca della studiosa russa Adajewski, etnomusicologa, che registrò oltre alla danza resina Osoika, eseguita da emigranti di Oseacco, anche alcune interessanti Villotte friulane. A Tarcento era ospite Luigi Armellini, che ebbe due figlie divenute pianiste e violiniste nell’orchestra di Roma, quasi un incontro tra diversi settori musicali.


Cyndara

In altre regioni, Stiria e Slovenia (Maribor), questo è un ballo nuziale.
A Gorizia ancora a metà Ottocento si danzavano le “Somnje”, particolari balli eseguiti dopo il rito matrimoniale seguendo un’antica melodia.
Ci sono testimonianze orali che questo ballo venisse eseguito nella Valle di Caporetto, precisamente a Bergogna, davanti alla Chiesa di Santa Elena in occasione della prima Messa del sacerdote novello. Proprio lì davanti la collina è chiamata “Plejaste” cioè collina del ballo.
Il ballo della prima Messa nel 1842 viene ricordato anche a S. Leonardo (Valli del Natisone) nonostante già nel 1809 l’arcivescovo di Udine avesse proibito questa festa.
Nel 1500, come in Francia per S. Gille attorno al cui monastero sorse una città, anche nelle valli del Natisone si venerava S. Egidio (Sant Zilih) sulla scia di quest’acclamazione: «Sant’Egidio prega per noi che noi balleremo per te».
Al ballo chiamato Cyndara naturalmente partecipavano tutti i fedeli; un cerimoniere, spesso un seminarista, ordinava la disposizione per la danza. I danzerini si tenevano per mano, venivano avanti e gridavano «Cindarate Cindarate bum bum», la mano destra sul fianco, la sinistra del Sacerdote teneva quella della ballerina, cui seguivano i giovani. Il ballo si svolgeva all’aperto, come un serpente si affiancava ad un albero e si ristringeva. Durava a lungo, a volte fino al mattino, soprattutto se c’erano i giovani. Accadeva che in coda, a causa della violenza dei primi ballerini, qualcuno potesse cadere, altre volte invece il serpente passava sotto l’arco formato dalle braccia alzate di due danzerini. I ballerini e le ballerine si prendevano per mano, formando una fila che si muoveva a tempo di marcia 2/4 ma vi potevano essere anche versioni in 4/4. Ci potevano essere movimenti bruschi e rallentati e il capofila faceva passare la fila stessa sotto le braccia levate di due ballerini. In breve la partenza era questa, salto avanti con piede sinistro, poi salto avanti con piede destro e così via.


Conclusione

Possiamo classificare le danze descritte in questo modo:
Sclave: ballo di corteggiamento
Di là di Sedule: ballo di società
Cyndara: ballo rituale

Crediamo, per concludere, che questa sia proprio l’area di demarcazione tra i balli figurati europei e quelli collettivi balcanici.
Per quanto ci riguarda, l’origine della Furlana come ballo estatico dei Terapeuti, che con varianti è risalita dalle Puglie in Friuli (come dice G. Pressacco), esiste anche un filone coreutico che prende origine dalla danza cretese e greca (balli a serpentina) ma anche da contaminazioni turche (balli in circolo ripetitivi e monotoni) a dimostrare un preciso collegamento della danza slava con quella mediterranea.

 

 

Bibliografia di riferimento

G. d’Aronco, Storia della danza popolare e d’arte, Firenze, Olschi, 1962.
G. Pressacco, Sermone, Cantu, Choreis et Marculis, Udine, Società Filologica Friulana, 1922
«DOM» (Quindicinale minoranza slovena), n° 13/14, 1992.
Deklica podaj roko. Liudski plesi, pesmi nosa Slovencev v Italy, Trieste, 1985.
M. Ramvos, Polka je ukezana, Ljubliana, 2000.
Niko Kuret Praznicno leto Slovencec, Prva knijica Druzina, Lublijana, 1989.


Per la ricerca sono stati consultati l’Archivio di Stato di Udine, la Biblioteca J. Hortis e la Biblioteca Slovena di Trieste, l’archivio privato del professor Pezzè di Udine, la Biblioteca Musicale Schmidl di Trieste, la Biblioteca della Società Filologica Friulana di Udine e la Biblioteca Civica Joppi di Udine.