Danza barocca oggi

V. ESPERIENZE E RIFLESSIONI

Danza barocca oggi, tra diletto e professione
Un’esperienza di ricostruzione, ri-creazione e rivitalizzazione della danza:
lo spettacolo “1726, a nozze per scherzo: balletti in casa Grimani”


di Deda Cristina Colonna

 

   

 

 

Il mio proposito odierno è la presentazione di un’esperienza, nella prospettiva di mostrare come la ri-creazione e la rivitalizzazione del repertorio antico possano corrispondere ad altrettante tappe di una ricostruzione. La mia comunicazione si allinea con altre simili, per esempio l’intervento presentato da Karen Woods, Nena Couch e Ligia Pinherio al congresso annuale della Society of Dance History Scholars a New York nel 1997, sul loro balletto The Rape of the Lock, prodotto quell’anno presso l’Ohio State University Department of Dance .


Considerazioni preliminari

Le riflessioni a monte di questo lavoro vertono su due punti principali: 
a)la posizione del coreografo-ricostruttore rispetto alla filologia, quando si produce uno spettacolo . 
Ë mia opinione che in una ricostruzione, dopo una fase di informazione generale e una rigorosa analisi delle fonti in notazione e non, debba trovare spazio una parte più propriamente creativa del processo interpretativo, che renda giustizia alla natura di esercizio culturale pieno ed attivo della ricostruzione stessa. Credo che sia importante adoperarsi affinché la ricostruzione di una danza non sfoci né in una improvvisazione fantasiosa ed insensata, né in un esercizio gelido ed asettico, ma in un prodotto che assuma forme diverse a seconda del contesto – scuola, concerto, palcoscenico – al quale è destinato, basato anche sulla sensibilità e sull’onestà intellettuale di chi ricostruisce.
b) la posizione dell’insegnante di danza, quando lo spettacolo è una tappa del processo didattico.
La danza barocca in Italia ha subito alterne vicende. I danzatori professionisti hanno inizialmente manifestato un interesse entusiastico, in seguito frustrato dalla politica culturale del nostro Paese, che non ha favorito un adeguato sviluppo delle scelte artistiche dei vari Enti. La danza barocca è praticamente scomparsa dalla programmazione dei teatri e ciò ha demotivato i professionisti. Parallelamente si è però sviluppato un interesse da parte dei dilettanti, i quali oggi costituiscono il principale bacino d’utenza dei vari corsi. Le proposte variano da lezioni a cadenza settimanale, a stages della durata di un fine settimana, a seminari episodici di quattro, cinque giorni, fino ai corsi estivi che durano una settimana o dieci giorni. Dati i limiti di tempo, spesso alla base di questi corsi non c’è un progetto didattico e la danza barocca si somministra “in pillole”, senza un riferimento più ampio al contesto nel quale si è sviluppata. Insegno danza barocca da più di quindici anni e la mia esperienza mi ha portato a considerare il corso come occasione di incontro, di apprendimento e di valorizzazione del repertorio e dell’allievo attraverso un progetto didattico in cui lo spettacolo rappresenta la fase conclusiva di una serie di incontri. La possibilità di realizzare un progetto basato su tali principi mi è stata offerta per la prima volta nell’anno scolastico 2001-2002 dalla Scuola di Musica Antica di Venezia.


La ricostruzione:

Tema del corso era “Il riflesso di Venezia nella danse noble”. In sei fine settimana ci si riproponeva di esplorare il repertorio barocco alla ricerca delle tracce veneziane o venete reperibili nei titoli delle danze, a partire dal manoscritto Grossatesta (di imminente pubblicazione, a cura di Gloria Giordano ), unico esempio di coreografia settecentesca in notazione Feuillet finora reperito in Italia, donato dal coreografo agli sposi Duodo-Grimani in occasione delle loro nozze, celebrate a Venezia nel 1726. 
Oltre ai tre balli di Gaetano Grossatesta, sono state scelte e ricostruite le seguenti danze: La Forlana (L’Europe Galante, coreografia di G.L. Pécour pubblicata nel 1700), La Conty (vénitienne, Le Carnaval de Venise, coreografia di G.L Pécour pubblicata nel 1700), Entrée pour une femme dansée par M.lle Victoire (forlane, Le Carnaval de Venise, coreografia di G.L. Pécour pubblicata nel 1704), Chaconne d’Arlequin de Monsieur de la Montagne (Le Malade Imaginaire, coreografia manoscritta databile tra il 1700 e il 1720), Gregorio Lambranzi, Neue und Curieuse Tantz-Schul (Cicona [Il mago e la zingara], Nürnberg 1716, p. 49), The Venetian Embassador, longways for as many as will (John Playford, The Dancing Master, vol. II, London, 1728). 
In seguito alla ricostruzione sono state avanzate alcune ipotesi sullo “stile italiano”, che riassumo qui di seguito .

I tre balli sono scritti con la notazione coreografica nota come “sistema Feuillet”, dalla mano di Sebastiano Gobbis, come appare sul frontespizio del manoscritto, che recita: “Sebastiano Gobbis delineò”. Per la danza italiana del XVIII secolo le due fonti di riferimento finora note sono il Trattato del Ballo Nobile di Giambattista Dufort (Napoli, 1728) e il Trattato Teorico-Prattico di Ballo di Gennaro Magri (Napoli, 1779). Entrambi gli autori descrivono la danza da sala con ampi riferimenti allo stile francese, rimandando ad altre opere - ahimè, forse mai pubblicate, e comunque non ancora rinvenute - la trattazione della danza teatrale . Anche l’opera del Grossatesta rivela per struttura, scrittura e stile una parentela con la danza d’oltralpe; infatti il sistema di scrittura, così come la struttura coreografica dei balli si rifanno alle partiture coreografiche francesi coeve. I coreografi francesi, d’altro canto, dedicano a Venezia le loro coreografie: entrées d’Italiens, forlanes e vénitiennes, i balletti Les Fêtes Vénitiennes o Le Carnaval de Venise. Se esiste un “effetto Venezia” nella danza francese, viene spontaneo chiedersi se sia possibile intuire un'anima italiana, uno stile che differenzi questi balli veneziani dalle composizioni coreografiche dello stesso periodo: è possibile ravvisare nelle danze del Grossatesta le tracce dello “stile italiano”?
Trattandosi dell’unico esemplare noto finora di coreografia italiana in notazione Feuillet, è impossibile azzardare considerazioni che vadano al di là delle semplici osservazioni. Il passo più usato nell’insieme delle coreografie – il pas de gaillarde – è annotato nelle sue diverse versioni: in ritmo ternario o binario, in cadenza o a cavallo di due battute, con o senza contretemps iniziale prima dell’assemblé in prima posizione, con coupé, coupé pointé, rond de jambe o con pas grave iniziale, infine con una quinta posizione aggiuntiva, quasi una fioritura tra il tombé e lo jeté finale. Proprio il pas de gaillarde si ritrova, per esempio, a più riprese in alcune danze francesi di argomento veneziano, o veneto in genere. Nelle coreografie La Forlana (L’Europe Galante, pubblicata nel 1700), La Conty (vénitienne, Le Carnaval de Venise, pubblicata nel 1700), Entrée pour une femme dansée par M.lle Victoire(forlane, Le Carnaval de Venise, pubblicata nel 1704), coreografate da G.L. Pécour, lo stesso passo ricorre più volte e caratterizza la composizione coreografica con il suo andamento ondulatorio. Purtroppo il campione a nostra disposizione è troppo esiguo per permetterci di azzardare l’ipotesi che si tratti di un passo ritenuto in qualche modo tipico o rappresentativo dell’Italia, o di Venezia. Fatto sta che passando dalle danze francesi alle sole danze italiane che conosciamo, lo abbiamo trovato puntuale ad aspettarci. 
Si tratta di danze “di rango francese”, proprio come si definivano nel Settecento i danzatori chiamati a dar lustro alle scene dei teatri italiani con la loro bravura; se non di nascita, dovevano essere francesi almeno nello stile. E il rango francese, i balletti veneziani del Grossatesta ce l’hanno. I coreografi francesi invece, nelle loro entrées d’Italiens, forlanes e vénitiennes tentavano di catturare un riflesso del carattere veneziano. 

Proprio intorno a questo improbabile “effetto Venezia” abbiamo costruito il nostro spettacolo, in cui abbiamo immaginato che gli invitati si siano trovati a danzare insieme ai balli del Grossatesta, italiani di nascita ma d’animo francese, altre danze francesi di nascita, ma veneziane per ispirazione. 


La ri-creazione

La Scuola di Musica Antica di Venezia ha ottenuto l’uso del salone da ballo di Ca’ Rezzonico, palazzo sul Canal Grande sede del Museo del Settecento Veneziano, per il 4 febbraio, uno dei primi giorni del Carnevale del 2001. Nell’ambito del nostro progetto è sembrato che ricostruire le danze del Grossatesta a Venezia non potesse prescindere dalla ri-creazione di un contesto, della festa che ha giustificato la nascita delle danze stesse: le nozze di Loredana Duodo e Antonio Grimani. Occorre precisare però che, se è noto che il matrimonio avvenne il 6 giugno 1726 e che fu registrato il 22, non si sa invece dove, né come la festa e gli eventuali balli si siano svolti . Come fare? 
Non potendo ricostruire la festa di nozze, ci siamo divertiti ad immaginare che nel 1726 questa non abbia avuto luogo, che gli sposi non siano mai arrivati, e che gli invitati e l’orchestra siano rimasti addormentati nel salone da ballo. 
Infatti il pubblico intervenuto allo spettacolo, entrando, trova orchestra e danzatori tutti in costume, addormentati a terra o sulle sedie, alcuni ancora reggendo le carte del gioco della “bessetta”. Tra il pubblico, alcune allieve in costume impersonano quattro veneziane in cerca di feste e balli, attività tuttora assai diffusa a Venezia nella settimana di Carnevale. Tra il pubblico molti sono in costume e questo contribuisce a mimetizzare le “pettegole”. Dopo pochi minuti le quattro donne si rendono conto di trovarsi ancora una volta, come nel 1726, alla festa di nozze Duodo-Grimani. Svegliano il direttore d’orchestra con un bacio, e la festa ha inizio; o meglio, ha inizio l’attesa degli sposi. Mentre si aspetta che questi arrivino, compare Gaetano Grossatesta in persona, con il suo libretto rosso contenente i balli da ripassare prima di eseguirli davanti agli sposi; compaiono sua moglie Maria Guizzetti che balla una forlane solistica e una coppia di invitati francesi che ballano La Forlana, passano il mago e la zingara del libro di Lambranzi, vengono serviti i pasticcini agli attori e al pubblico, il tutto con Arlecchino a fare da maestro di cerimonie e a danzare una delle sue chaconnes. Proprio Arlecchino, alla fine, gioca un altro scherzo al maestro di ballo e gli indica, invece degli sposi, una coppia di colombi veneziani appollaiati fuori dal salone da ballo. Si balla un’ultima country dance, The Venetian Embassador, Grossatesta se ne va indignato, invitati e orchestra si riaddormentano.
L’ultima fase del progetto ha previsto quindi lo sviluppo della drammaturgia e della sceneggiatura, la regia e la creazione vera e propria dello spettacolo, con relativa identificazione di personaggi ed interpreti, scrittura di testi in italiano e in veneziano e arrangiamento del materiale musicale a cura di Massimiliano Toni. 
Mi è sembrato che avvicinarsi alla figura di Gaetano Grossatesta in una prospettiva di ri-creazione oltre che di ricostruzione abbia contribuito a conoscerlo meglio. A questo proposito cito il punto di vista di Ligia Pinherio sulla notazione Laban dei Brahms Waltzes di Charles Weidman: 

I simboli della notazione sono più che mere rappresentazioni di passi, livelli e direzioni; i simboli […] suggeriscono impressioni sulla personalità dell’individuo che ha creato i movimenti. Questa è l’esperienza di coloro i quali lavorano con notazioni Laban. […] Una conoscenza ravvicinata del coreografo non è possibile soltanto tramite la ricerca storica. La partitura Laban serve da strumento complementare per colmare le lacune della ricerca storica. Tale combinazione mette il ricercatore nella posizione ideale, collegando gli aspetti empirico e cognitivo […]. Nella ricostruzione […], usando entrambi i metodi, mi sono fatta un’idea di Weidman dal punto di vista cinestetico. 


La rivitalizzazione

È sembrato logico proporre il progetto all’attenzione delle istituzioni, affinché la valorizzazione del manoscritto in quanto patrimonio veneziano fosse percepibile anche al di là delle attività della Scuola e condivisibile a livello cittadino. Si trattava di rivitalizzare il manoscritto come risorsa eminentemente veneziana, sottolineando il legame dell’iniziativa con il territorio. La direzione dei Musei Civici Veneziani ha accolto favorevolmente la proposta, garantendo l’uso del Salone delle feste di Ca’ Rezzonico e finanziando la pubblicazione del manoscritto. Cito le parole di Giandomenico Romanelli, direttore dei Musei Civici Veneziani, nella presentazione della pubblicazione:

La direzione dei Musei Civici ha voluto la realizzazione di questo “Nozze per scherzo” nel salone delle feste di Ca’ Rezzonico, così come la edizione-riproduzione in formato ridotto del manoscritto Morosini-Grimani n. 157 della Biblioteca del Museo Correr. L’operazione ben si inserisce nelle linee di riscoperta e valorizzazione sul patrimonio delle collezioni civiche che sta portando alla luce materiali, testi, opere d’arte, documenti poco noti o sconosciuti e spesso di rilevante qualità e interesse. In questo caso, oltre alla riscoperta di un importante manoscritto, si aggiunge la messa in scena del balletto da parte della Scuola di Musica Antica di Venezia. Ancora una volta i forzieri della memoria dei Musei Civici sorprendono piacevolmente nella loro capacità di parlare e produrre esperienze d’arte e di cultura. 

L’edizione-riproduzione del manoscritto è stata pubblicata a cura di Maria Costantini, con interventi di Deda Cristina Colonna (Appunti sulle partiture coreografiche), M. Costantini (Gli sposi), Rita Zambon (Il coreografo) e Massimiliano Toni (Osservazioni sulla musica).


Conclusione

Per concludere è necessario ribadire che con il progetto 1726, a nozze per scherzo: balletti in casa Grimani non si intendeva ricreare una festa di nozze veneziana settecentesca, ma fornire un contesto agli allievi in vista della ricostruzione di un repertorio di danze. Inseriti in un ambiente adatto - quello della festa appunto - i balli del Grossatesta ci hanno rivelato una composizione che forse prevedeva proprio che il pubblico non fosse concentrato su un solo lato della sala, ma su tre. Inoltre gli allievi hanno potuto ballare le danze ricostruite in una situazione consona, cioè ad una festa e non su un palcoscenico. Occorre anche precisare che si è deliberatamente scelto di accostare nello spettacolo danze di sala e di teatro, italiane, francesi, inglesi e tedesche, le cui partiture sono state pubblicate in un arco di tempo che va dal 1700 al 1728 e che presumibilmente mai furono eseguite nello stesso contesto. Proprio per queste ragioni mi piace definire lo spettacolo secondo il pensiero di David Lowenthal : «respectful yet creative reworking(s) of earlier forms and styles» , e pensare che, da dove sono, gli sposi e Gaetano Grossatesta l’abbiano visto e si siano divertiti.