Il saltarello popolare

IV. WORKSHOP. 
IL SALTARELLO: DANZA FIGURATA

Il saltarello popolare dell'Italia Centrale è una danza in 2/4 o in 6/8?
Comunque binaria!


di Marcello Cofini

 

   

 

 

L’avviamento di sistematici studi sulla danza popolare italiana in Italia presenta date purtroppo recenti (ad esempio, Danze Popolari Italiane, a cura dell’O. N. D., Roma, Edizioni dell’O. N. D., 1935), scarsità di fruibili, collazionanti risultati (ad esempio, una vasta e pregevole letteratura di viaggiatori e studiosi italiani e stranieri nella seconda metà del XX secolo, ma quasi sempre indagante e circoscritta ad aree territoriali e localizzate), ed infine improduttivi, occasionali confronti tra coreutica della danza popolare e sua rispettiva musica. A tutt’oggi, che io sappia, non è ancora venuta alla luce una esaustiva trattazione sul Saltarello popolare dell’Italia Centrale (e non solo), tanto dal punto di vista dello studio coreutico, quanto da quello musicale. Un primo convegno a più voci si tenne il 3 agosto 1997 ad Amatrice, organizzato da Estadanza 1997 in collaborazione con il Comune di Amatrice, l’Associazione “Ma-tru” e la Regione Lazio, col titolo Alla scoperta del Saltarello fra storia e tradizione, 1° incontro di studio, i cui atti non furono mai pubblicati né raccolti. Il mio intervento fu Saltarello al pianoforte (sec. XVIII-sec. XX). Musica e danza fra studiosa documentarietà e libera ispirazione.
Una delle domande in proposito è quella mai risolta sulla definizione del ritmo (sia musicale che coreutico) su cui il Saltarello popolare dell’Italia Centrale si cadenza: 2/4 (binario semplice) o 6/8 (binario composto), ovvero quest’ultimo scandito internamente da suddivisioni ternarie (e non “terzine”, come quasi sempre si afferma, impropriamente), per ognuna delle sue due unità di misura?
Dalla pratica aurale a quella visiva, delle tradizioni orali e delle tradizioni scritte (trascrizioni etnomusicologiche, musiche di “area culturale intermedia”, presenze nella musica colta), la stragrande maggioranza dei casi, dalle Marche attraverso Lazio e Abruzzo fino al Molise, presenta il ritmo composto da 6/8, quindi “binario composto”. Nella minoranza dei casi, ovviamente, si presenta il ritmo binario semplice 2/4, raramente il ritmo ternario semplice 3/8, o addirittura 3/4, che poi diventano rispettivamente nella pratica esecutiva ed aurale 6/8, o addirittura 6/4, se le misure vengono accoppiate ritmicamente a due a due: 3/8 + 3/8 = 6/8 e 3/4 + 3/4 = 6/4.
Una inaspettata presa di posizione sulla vexata quaestio (si fa per dire!) viene dal dimenticato musicista piemontese Giuseppe Galimberti (? – Mergozzo, 1909), vissuto nel periodo del nascere dell’Italia unita, nel periodo del nascere della etnologia in Italia, con le sue branche disciplinari della etnomusicologia e della etnocoreologia. Fecondo compositore (circa seicento numeri d’opus), scrisse musica vocale sacra e profana, e musica per pianoforte, buon repertorio della quale fu dedicato alla danza. Furono brani scritti per occasioni di feste, anche a Corte in Torino. Una importante e famosa (allora) serie andò in stampa col titolo generale di Danze Figurate (Con annessa istruzione per la Danza), scritte per pianoforte solo, ma anche nelle versioni per mandolino (o violino) e pianoforte con secondo mandolino (o violino) ad libitum, oppure per mandolino (o violino) e chitarra, con secondo mandolino (o violino) ad libitum; i caratteri furono della Ricordi & C., in Milano, con abbondanza di corredo iconografico anche in pluricromia. È in realtà una vera e propria rassegna attraverso il pianoforte (o attraverso quegli altri strumenti nelle altre versioni da lui voluti) di danze storiche europee e di coeve danses nationales. Quest’ultima casistica presenta danses nationales di diversa (molteplice) area, dall’aulico al popolare. L’aggettivo “nationales” va inteso nell’accezione geo-politica di allora, ovvero, per quanto riguarda l’Italia, distinta nei suoi piccoli e grandi Stati (regione per regione). I brani “a ballo” dedicati all’Italia sono:

La Piemontese. Mionferrina op. 449
Pavana op. 479
Tarantella Napoletana op. 519 
Fiorentina, Tempo di Mazurka op. 531 
Tirolese, Mazurka campestre op. 561 
Saltarello op. 563.

La scrittura pianistica vera e propria presenta uno svolgersi melodico, una armonizzazione fondante ed una strutturazione sintattica né di ispirata creazione soggettiva, né di funzionale caratterizzazione di genere. Bensì può scorgersi, così come dalla Annessa istruzione per la Danza, il tentativo unificante di raccogliere gli elementi coreutici e musicali a lui compositore conosciuti, comuni alle varie danze e pratiche di esse, che andavano sotto lo stesso nome, in una stessa regione (incluse regioni o zone limitrofe).
Nel Saltarello op. 563 le ascendenze popolari e geografiche della danza descritta e della sua musica vengono esplicitate in secondo di copertina, a piè di una significante iconografia che qui appresso riproduciamo.

Saltarello. Danza diffusissima nelle campagne romane; i movimenti della danza e della musica hanno un carattere eccezionalmente originale; molti danzano il Saltarello sulla musica 6/8 portandola così al tempo della Tarantella. Invece il suo vero tempo è in 2/4 presto, cadenzando assai il primo quarto. Il ballerino in questa danza dimostra una grande agilità, leggerezza e resistenza.
Il Saltarello si balla da una sola persona avente fra le mani il tamburello (Basque); è la danza dei vignaiuoli, dei pastori, i quali, ad un dato punto della musica, introducono dei canti secondo i loro costumi di campagna.
Il Manuale de la danse del prof. Giraudet de Paris, Boulevard de Strasbourg, 69, a pagina 226 insegna la precisa Théorie sul modo di ballarlo; in questa teoria si spiega come il Saltarello sia in tempo 2/4 anziché in 6/8.
A differenza delle “istruzioni annesse” nelle altre danze, qui non compaiono istruzioni, ma compare il rimando tout court al trattato pratico del citato Prof. Giraudet; anche per confermare la condivisa posizione sul ritmo del Saltarello delle campagne romane, in 2/4 anziché in 6/8.
Facendo anche riferimento alla iconografia presentata in seconda di copertina, compositore musicale, disegnatore-incisore ed editore volevano esprimere comunque le caratteristiche musicali-coreutico-visive del “Saltarello campagnolo”, detto nei dintorni di Roma “alla contadina”, ben diverso e quindi diversificato dal “Saltarello romano”; soprattutto nell’organico strumentale previsto dalle rispettive musiche “a ballo”. I due personaggi qui effigiati sono: un suonatore di zampogna a tre canne (“ritta”, “manca” e “bordone”) disuguali, apparentemente in fase di rigonfiamento dell’“otre”, poiché la figura sta soffiando nell’“otre” dalla canna per l’insufflazione, con mano destra sulla canna sonora più lunga e con mano sinistra stringente sull’“otre”; la postura corporea è protesa in avanti, anche con la gamba destra, quasi a dare un ritmo col piede; e poi una contadina nel costume a festa in uso nella campagna romana, con un tamburello a sonagli (più propriamente “cimbalini”), detto anche dalla letteratura di viaggio “tambour de basque”, alla mano sinistra, ed innalzato con il braccio quasi sopra la testa; la postura è in sinuosa movenza del femmineo busto. Questa ben descrittiva iconografia è anonima, e non è necessariamente dell’autore litografo del floreale soggetto in prima di copertina (peraltro siglato in basso a destra), anzi, quasi sicuramente possiamo dire che non lo è.
Il brano musicale, così come numerosi casi di trascrizioni etniche al pianoforte di musica “a ballo”, si presenta con una forma della durata “a piacere”, potendo riprendere dall’inizio e potendo finire quando la danza “vuole”. La struttura degli elementi sintattici si presenta come una sorta di ABA’C, con ritorno ad A. Osserviamo ed ascoltiamo che la sezione A è divisa a sua volta in due parti, delle quali la seconda altro non è che la prima, in tonalità maggiore (mi maggiore) invece che minore (mi minore, la tonalità d’impianto). La sezione B (in do maggiore) presenta una chiara scrittura “a zampogna”, cercando cioè d’imitare i suoni dello strumento, con il suo ossessivo alternarsi di accordi primo grado-quinto grado, con la quinta (sol) della tonalità della sezione B (do maggiore); il tutto mosso armonicamente da una degradante progressione melodico-accordale. Torna quindi la sola prima frase del tema d’inizio (sezione A) in mi minore, con efficacia musicale di contrasto. Segue una sezione C (in sol maggiore) composta di tre frasi di grande effetto per l’incitamento coreutico, arricchita anche qui da una degradante e «saltellante» progressione melodico-armonica e da una frase (la seconda, in re maggiore) scritta quasi «a zampogna e ciaramella». Dopodiché «D.C. (da capo) e si finisce a piacere».
In tutto il brano l’attrazione ritmica saltellante è di notevole efficacia nel veloce alternarsi delle fondamentali “tesi” e “arsi” (comunemente ed impropriamente dette “battere” e “levare”).
Curiosità compositiva ed esecutiva è che lo stesso brano risulta ugualmente efficace per il ballo previsto dalle Istruzioni per la danza se lo si varia e lo si suona variato in 6/8 invece che in 2/4, possibile, ad un pianista esperto, anche da fare all’impronta. Ciò che è diverso in 6/8 è la predisposizione psico-motoria alla caduta e al rimbalzo del passo di Saltarello.
Nella esecuzione musi-coreutica approntata e realizzata dal vivo dal sottoscritto al pianoforte, da Gloria Giordano rivitalizzatrice del ballo e dagli entusiasti partecipanti attivi del workshop di sabato 26 aprile 2003 nella Sala Piccola dei Concerti presso il Museo di Roma in Trastevere (ex Museo del Folklore e dei Poeti Romaneschi), sede del Convegno di cui alle attuali scritture, avrei voluto sperimentare questa differenza di esecuzione degli stessi passi su brano stesso, ma variato in 6/8: questo purtroppo non è stato possibile per ovvi motivi di tempo. L’apprendimento e l’esecuzione dei passi previsti si è svolto in un’ora esatta, non per tutto il brano con ripresa dall’inizio, ma per le sezioni ABA’ (misure 1-72). Ed è già molto.
Riservandomi dunque di approfondire e sperimentare le possibilità musi-coreutiche contenute in Saltarello op. 563 e sue Istruzioni di danza, nella duplice verifica ritmica ipotizzata, posso concludere con l’affermazione che tale brano “a ballo” di Giuseppe Galimberti ormai dimenticato costituisce una riprova della fondamentazione del “Saltarello della campagna romana” su ritmo comunque binario, sia esso semplice (2/4) come nel caso specifico, sia esso composto (6/8) come nella stragrande maggioranza dei casi altri. La inequivocabile ed inconfondibile binarietà del ritmo di questo tipo di Saltarello, il “Saltarello della campagna romana”, si fondamenta nell’alternante scansione elementare di “tempo forte”-“tempo debole” (“tesi”-“arsi”) .
A differenza di altre musico-danze popolari, geograficamente e culturalmente tangenti come la Tarantella, dove la casistica dei ritmi consueti annovera al suo interno più ritmi fondamentali, ben diversi nelle scansioni e nelle suddivisioni, gli uni dagli altri.


Nota: L’esecuzione integrale al pianoforte di Saltarello op. 563 di Giuseppe Galimberti e l’esecuzione parziale (sezioni ABA’) con danza dal vivo è conservata e visibile presso l’Archivio del Museo di Roma in Trastevere, piazza S. Egidio 1 B.